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IL PROTOCOLLO DEL TEMPO

massimo franceschini blog

Consigli per vivere meglio.

 

Di Massimo Franceschini

 

Il termine “protocollo” è assai interessante.

Forse non ci abbiamo mai pensato, ma descrive perfettamente la nostra epoca.

Non sto parlando delle varie accezioni del termine usate nel “burocratese”, quanto di altri suoi due aspetti, che si intersecano fra loro.

Il primo è quello che ha a che fare con i fondamenti della scienza stessa e che riguarda l’aspetto percettivo su cui si andranno poi a formulare teorie.

Il secondo sarebbe quello relativo all’insieme di procedure tecniche, di qualsiasi campo, che possono avere anche un riscontro normativo.

Un protocollo è quindi un insieme ordinato di passi e procedure tecniche sviluppato dall’esperienza, a partire dalla definizione di come si andrà ad osservare qualcosa.

I protocolli, come tutte le cose “scientifiche”, possono quindi essere soggetti a modifiche e miglioramenti.

Tornando alla nostra epoca e osservando l’enorme sviluppo tecnologico sin qui avuto, l’implementazione crescente di ambiti in cui la nostra realtà ha a che fare, si interfaccia ed è condizionata da protocolli tecnologici e di intelligenza artificiale, potremmo tranquillamente affermare che siamo nell’“Era dei protocolli”.

Un protocollo ha un grande “ente” con cui fare i conti, anche se, in effetti, siamo noi a doverli fare: il tempo.

Il tempo è un concetto così affascinante e complesso con cui difficilmente entriamo “in contatto”, pur usandolo ad ogni respiro.

Il tempo non è quello degli orologi, oggetti che potremmo chiamare in senso a questo ragionamento dei tecnologici “protocolli interpretativi”: di fatto, una fantastica realizzazione del concetto prima espresso riguardo i protocolli, riguardo alla percezione basilare su cui si fonda una scienza.

– Giorgio è un uomo puntiglioso e apprensivo. È alla fermata dell’autobus per arrivare assolutamente in tempo per un colloquio di lavoro. Secondo i suoi calcoli, per niente ottimistici, per riuscire nell’impresa l’autobus avrebbe già dovuto passare da almeno 5 minuti. L’autobus arriverà dopo altri due minuti. Questi 7 minuti avranno per lui una lunghezza insopportabile, il tempo sembrerà da una parte scorrere ad una velocità folle, dall’altra non muoversi. Alla fine del colloquio, andato bene, gli stessi 7 minuti dall’arrivo dell’autobus che lo riporterà a casa sembreranno a lui dolcissimi, ne vivrà ogni respiro con un nuovo sguardo, da una parte, e arriveranno in un batter d’occhio dall’altra.

– Gina è ancora giovane, ma ha già un discreto fardello di relazioni insoddisfacenti. Si trova in un bar ad aspettare con impazienza il suo nuovo, eccitante amico: ha una relazione all’orizzonte e il suo ritardo, anche di soli 5 minuti, risulterà a lei quasi intollerabile, cosa che si guarderà comunque bene dall’esprimere. Alla fine dell’appuntamento, emotivamente molto appagante, gli stessi 5 minuti che intercorrono fra il parcheggio di lui sotto casa di Gina e il momento in cui se ne andrà saranno per lei meravigliosi, fin troppo brevi.

– Quando iniziai a lavorare nella ristorazione e nei bar, nei turni in cui c’era più clientela il lavoro era duro, ma il tempo scorreva velocemente perché non ero mai fermo e la giornata di lavoro non sembrava così lunga. Nei turni con più stanca il tempo non passava mai e mi ritrovavo quasi automaticamente ad essere meno produttivo. Più avanti negli anni aprii dei bar e con l’esperienza mi organizzai, imparai a non perdere il tempo dei turni meno produttivi, in un bar ci sono 1000 cose da fare, sempre.

Aspettare quindi “allunga” il tempo, mentre fare, agire, lo “accorcia”.

In queste ultime settimane la mia vita ha avuto fortemente a che fare con i protocolli e con un tempo da riempire senza perdere lucidità.

La mattina del primo marzo a Genova era una bellissima giornata, me ne stavo andando a piedi verso un supermercato vicino all’Ospedale San Martino, quando lo strato più interno della mia aorta decise bene di dissezionarsi improvvisamente. Contemporaneamente non mi feci mancare l’aneurisma all’aorta ascendente, molto prima di quanto previsto e monitorato: il senso interno di “rottura idraulica” era chiarissimo, non bello da provare, anche se non doloroso, il liquido caldo che sentivo scendere lungo il tronco verso i reni non era per niente rassicurante, per non parlare della sudorazione e della forte riduzione respiratoria.

Girai immediatamente il culo verso il pronto soccorso che stava a 100 metri, per niente intenzionato a tirare le cuoia.

Vedo subito un’ambulanza ferma alla rotatoria prima dell’ospedale, mi avvicino, scorgo gli operatori al bar vicino al tabaccaio, faccio loro segni di evidente difficoltà e necessità di andare al pronto soccorso.

In un batter d’occhio ero dentro ai protocolli del Pronto Soccorso a spiegare i fatti e la più che probabile causa, cercando di rispondere in maniera precisa alle loro domande.

I ragazzi del pronto soccorso, gentili ed efficienti, sembravano avermi preso in simpatia, forse anche per l’accento non genovese, alla mia uscita in barella sentii chiaramente una di loro dire “fantastico”.

Probabilmente mi ero inserito in maniera anomala nel loro protocollo, che comunque aveva tenuto alla grande.

In men che non si dica ero dentro una tac e in sala operatoria, salvo per miracolo.

La meraviglia dei medici, a quanto mi dicono, continuò quando chiesi loro se fosse possibile, già che c’ero, togliere anche l’ernia jatale… e osservando la reazione successiva all’intervento di 6 ore, il fatto che mi fossi svegliato molto presto e subito rompiballe, più o meno cosciente.

Dall’inizio del problema alla felice risoluzione la mia vita è stata in mano a svariati protocolli ed a persone che li avrebbero attuati brillantemente.

Il pomeriggio dell’8 marzo ero già a Camogli, in un bel centro specializzato in riabilitazione, con dentro anche molti milanesi operati in Lombardia, ma che avevano ben scelto la Liguria per la loro guarigione.

La gestione del tempo durante i primi giorni dopo l’operazione è stata per me assai riuscita e fondamentale.

I tubi che uscivano ed entravano dal mio corpo, i dolori, gli impedimenti di vario tipo, la grande incapacità respiratoria, l’impossibilità di coricarmi di lato e mille altre cose che rendevano difficile la mia vita, andavano affrontate in un certo modo gestendo il tempo per non permettergli di “non passare mai”.

Cercavo, in buona sostanza, di essere più presente possibile ad ogni attimo in cui mi accadeva qualcosa, o accadeva nelle vicinanze, mentre ogni volta che mi sentivo in grado di “pensare” cercavo di immaginare il futuro, di progettare la vita che avrei vissuto da quel momento in poi, assai diversa, cercavo di capire cosa avrei dovuto fare e scrivere.

Nei momenti meno “impegnati” cercavo di “gustare” ogni cosa, ogni mio movimento, anche se doloroso, ogni dato percepito.

Dovevo imparare ad utilizzare il tempo con le mie idee, senza fargli occupare tutta la realtà, anche se premeva con tutta la sua forza.

I primi giorni passarono così, né lenti, né veloci, ma molto meno estenuanti di quanto avrebbero potuto essere.

Il mio consiglio vale quindi sempre e per tutti: cercate un buon protocollo e diventate padroni del vostro tempo.

 

14 marzo 2019
fonte immagine: istruzioni a Microsoft Bing

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