La spiritualità confonde la sua anima se pensa di affidarsi alla fisica quantistica
Le seguenti osservazioni scaturiscono dalla lettura dell’interessante articolo Il lento cammino della crescita dell’anima di Lidia Fassio (https://www.fisicaquantistica.it/spiritualita/il-lento-cammino-della-crescita-dellanima), una interessante, sintetica e per lo più condivisibile, almeno negli esiti auspicati, enunciazione delle visioni olistiche tanto di moda oggi, su cui però avrei qualcosa da dire.
Per far comprendere la natura e lo scopo delle mie osservazioni, prima di iniziare vorrei precisare che sono un fautore della dualità fra universo materiale e dimensione divina, spirituale, trascendente o in qualsiasi modo la si voglia chiamare; penso che noi fondamentalmente ed essenzialmente siamo esseri spirituali immateriali a-temporali ed a-spaziali, anche se ci consideriamo “attaccati” ad un’appendice biologica con cui ci riconosciamo, che usiamo per comunicare e gestire l’universo fisico.
Penso quindi che la nostra coscienza sia totalmente e fondamentalmente disgiunta, anche se connessa, da qualsiasi organo, porzione, stato di aggregazione e di apparenza materiali e biologici.
Penso inoltre che l’universo materiale, come qualsiasi universo e dimensione di qualsiasi tipo, siano creazioni della “dimensione spirituale trascendente”, quella dimensione non “quantitativa” e misurabile, ma “qualitativa” e creativa, ambito e regione di ogni logos e pensiero.
Andiamo con ordine.
L’autrice inizia la sua carrellata con un riferimento “[…] al pensiero del fisico David Bohm, che ha teorizzato ed esposto in maniera scientifica, un pensiero che in passato era appartenuto esclusivamente alle discipline esoteriche e mistiche, e ad alcuni rami della psicologia umanistica. Bohm sostiene che “nulla ha senso se visto o letto separatamente dal contesto in cui si trova” e, in questo assunto, giunge a modificare sensibilmente le basi del pensiero scientifico newtoniano, rivoluzionandolo fino ad affermare il concetto di indivisibilità del tutto. Nella visione newtoniana anche la vita, la creatività e l’intelligenza erano per lo più prodotti che seguivano le leggi della materia, per non parlare poi della coscienza che veniva considerata esclusivamente una emanazione del cervello e, pertanto, strettamente connessa ai processi biologici. Questa visione, che ha comunque retto per lunghissimo tempo, è ormai completamente superata dall’osservazione degli atomi – considerati in un primo tempo indistruttibili e indivisibili – che ha portato ad individuare particelle molto più piccole, con un comportamento che sfida apertamente le leggi newtoniane, perché diverso dalle aspettative e dunque non rispondente alle leggi fisiche conosciute”.
Già in questa prima parte osservo delle confusioni: innanzitutto per la maggior parte dei neuro ricercatori, soprattutto quelli materialisti, la coscienza è ancora un prodotto cerebrale o in ogni caso inerente al corpo, in quanto sembra che le ultime “osservazioni” e teorie non riescano ad identificarne una sede certa [posizione che ho poi sviluppato, come leggerete più avanti nel libro. N.d.a.].
Forse non tutti i ricercatori delle neuroscienze, i nuovi “filosofi-guru”, conoscono la fisica quantistica, anche se penso che la loro forma mentis sia soprattutto condizionata da un materialismo di base.
Inoltre, anche se posso condividere “a naso” il concetto di indivisibilità del tutto, mi sembra di capire che anche gli enti vita, coscienza, creatività ed intelligenza, anche se non visti come effetto della chimica cerebrale, siano in ogni caso inseriti in questo “tutto”, quindi considerati in un modo o in un altro “materiali”, anche se sotto forma di energia: non sono sicuro che la frase successiva “[…] mentre la coscienza che è tutt’altro che un prodotto del cervello, è parte centrale della creazione della realtà in cui viviamo” indichi una chiara visione dualistica fra la realtà materiale e quella spirituale o del pensiero cui la coscienza appartiene.
Anche la parte seguente secondo me tende a confondere.
La materia viene ora vista come qualcosa che può interscambiare con l’energia, e alla luce di questo anche la coscienza diventa parte del tessuto energetico universale e assume un ruolo molto più allargato ed importante di quello che gli è stato dato precedentemente. In quest’ottica possiamo senz’altro essere concordi con la visione di James Jeans che sostiene che l’universo, più che essere una macchina molto sofisticata, è in realtà più somigliante ad un grande pensiero.
Sembra esserci un dualismo fra materia ed energia, ma l’energia non è pur sempre materia?
Allora quando parla di energia intende l’energia della vita, un’energia particolare di natura spirituale, cioè una concezione simile a quella trascendente che appoggio?
E cosa significa affermare che l’universo somiglierebbe ad un grande pensiero?
Se intende che la dimensione materiale sarebbe il frutto di quella spirituale sono completamente d’accordo, ma non mi sembra di intuire questa chiarezza.
Interessanti invece i dubbi e l’impostazione della citazione seguente.
Godel – con il suo “Teorema dell’incompletezza” – andò a risvegliare antichi dubbi che erano appartenuti alla filosofia e forse alla teologia; in particolare mise in dubbio la modalità fino a quel momento usata di giustificare il pensiero razionale usando strumenti e metodi del pensiero razionale stesso. In un certo senso obbligò la scienza a chiedersi se i sistemi logico-deduttivi fossero davvero capaci di rispondere alla complessità della vita e al fatto che, quando si pensa che la scienza possa spiegare tutto, ci si accorge che ci sono aspetti che rispondono ad altre regole.
Scrivo spesso contro lo scientismo che pervade la cultura moderna, anche se penso che la logica sia fondamentale per l’evoluzione del pensiero e nella ricerca di una visione globale, basta che abbandoni alcuni dogmi materialisti.
Proseguiamo con l’interessante passaggio successivo, che segue e si riallaccia direttamente al precedente che ho commentato, in cui mi sembra di intravedere una grande e fondamentale contraddizione, o almeno un nodo non adeguatamente risolto.
È chiaro che da questo pensiero prese il via, almeno nella mente degli scienziati più audaci ed eclettici, l’idea che le singole parti di un sistema potessero corrispondere e relazionare tra loro con criteri non ancora noti. Un trentennio dopo Godel – esattamente nel 1974 – un altro fisico dimostrò un teorema che Henry Stapp ha definito la più importante scoperta nella storia della scienza: si tratta di John Bell e del Teorema che porta il suo nome, in cui dice che “un universo oggettivo è incompatibile con la legge delle cause locali”. In termini più semplici, “l’universo oggettivo è un universo che esiste separato dalla nostra coscienza”. “La legge delle cause locali” si riferisce al fatto che nella vita dell’universo le cose accadono sempre alla velocità della luce o a velocità inferiori e quindi, per Bell, una totalità invisibile unisce tutti gli oggetti nati nell’universo, e questa totalità significa “separazione senza separatezza” e “realtà senza divisione”, alla condizione di poter varcare la velocità della luce. Io non sono un fisico e quindi non so spiegare bene la portata di questa scoperta ma credo che Bell abbia scoperto che nell’universo quantico esista una relazione fra tutte le sue componenti, e questo pare molto simile all’assunto delle religioni secondo cui l’uomo, particella subatomica dell’universo, partecipa ad un’esistenza indivisa e indivisibilmente unita con il mondo.
La questione è: da una parte si dice che l’uomo è una particella subatomica dell’universo – una visione secondo me totalmente materialista, non sono sicuro che tutte le religioni dicano esattamente questo, sicuramente non quelle che sostengono l’esistenza di un dualismo – dall’altra si afferma che l’universo oggettivo esiste separatamente dalla nostra coscienza.
È certo che l’uomo normalmente non possa percepire l’intima connessione quantica fra le cose esistenti, ma ne osserva pur sempre una sua rappresentazione, quella che chiamiamo realtà visibile.
Come possiamo negare questo dualismo fra un ente che osserva l’universo e lo sperimenta, seppur parzialmente, e l’universo stesso?
Come può un “universo oggettivo” possedere all’interno della sua “totalità invisibile” delle sub particelle indivisibili da esso, ma più speciali, intelligenti al punto di poter sperimentare, ragionare e misurare l’intero di cui fa indivisibilmente parte?
Sorvolo sul paragrafo successivo che parla di big bang (ricordo che è solo una teoria), caos e ordine, tutte teorie e “filosofeggiamenti” che secondo me, almeno a quel livello, lasciano il tempo che trovano.
Stessa cosa per la teoria del cervello olografico in cui ogni neurone avrebbe le informazioni dell’intero o alla evocata “sincronicità degli emisferi cerebrali” da cui dovrebbe nascere una diversa e più profonda coscienza e percezione dell’invisibile. Noto soltanto che si continua a parlare di materia, senza alcuna “traccia” dell’anima.
Si passa poi a citare le corrispondenze degli ultimi assunti scientifici con le teorie di Jung sull’inconscio collettivo, in base al quale noi saremmo in grado di influenzare il comportamento degli altri e dell’universo fisico, proprio perché faremmo parte del livello più profondo di questo.
Potrei anche essere d’accordo a patto che si dica chiaramente che noi, esseri che siamo in grado di ragionare su queste cose, possiamo influenzarle proprio nel momento in cui postuliamo e riconosciamo di essere esteriori ad esse, di esserne in contatto ma non facenti parte.
Può sembrare una disquisizione di poco conto, che invece ritengo fondamentale.
Possiamo osservare tutti i giorni le “aberrazioni” di una cultura scientista che ha dimenticato l’anima ed ha prodotto irresponsabilmente bomba atomica e schiavizzazione psichiatrica dell’uomo dopo averlo pragmaticamente degradato a semplice evento biochimico, un animale evoluto da governare con il terrore e la forza.
Tornando all’articolo, si continua successivamente a parlare di particelle immateriali – spero una licenza poetica, forse riferita al fatto che alcune particelle sembra non abbiano massa: una particella è pur sempre un componente della materia, il componente base! – che una volta aggregate diventano il corpo e i suoi organi, energia all’infrarosso e ultravioletto, distinguendo le due realtà energetiche come materiale l’una, per differenziarla dalla nostra fatta di energia e informazione, addirittura connessa con “schemi di intelligenza governanti l’intero cosmo”.
A me sembra una visione di diversi gradi di energia che hanno materia da un lato e “pura energia e informazione” dall’altro, una visione pur sempre e del tutto materialista in cui inserire l’uomo, a quanto pare privo di anima, che anzi sembra sempre più negata!
La separazione è un’illusione prodotta dal nostro Io, che vuole a tutti i costi riconoscersi come istanza distinta dal resto, esattamente come ha fatto l’uomo fino ad oggi nel volersi riconoscere superiore e dominatore della Natura e del Cosmo. In questo senso di separazione, l’Io lascia in disparte anche aspetti che ci appartengono e che non riconosce: così, come accade per la luce di cui il nostro occhio coglie solo la parte per così dire centrale, non riuscendo a vedere né i raggi infrarossi, che sono quelli più densi, né gli ultravioletti, che sono quelli più sottili e rarefatti, lo stesso accade alla nostra coscienza che non percepisce né la parte più densa e oscura, l’infrarosso che deve essere affrontata e illuminata per poter permettere ai nostri canali superiori di entrare in funzione, né quella del superconscio, l’ultravioletto, che contiene le grandi potenzialità creative e spirituali che sono espressione della vera libertà di cui ognuno dispone e con cui può intervenire sul destino al di là di tutti i blocchi, le paure e i condizionamenti dovuti alle esigenze di adattamento.
Al di là della superficialità del disegno proposto, mi sembra di cogliere una contraddizione inquietante: si parla di libertà creative spirituali che però sarebbero tali solo se il nostro “Io” si riconosce parte integrante del “tutto” materiale e naturale.
Dov’è la libertà, se ci incateniamo filosoficamente e teoricamente alla materia?
La verità è che io vedo ancora e solo del materialismo bello e buono.
Nel passaggio seguente l’autrice sembra però intravedere alcuni pericoli.
Anche le nuove scoperte della scienza, sembrano riconsegnare all’individuo l’opportunità di aprirsi ad una nuova coscienza, capace di rendersi progressivamente più libera, sottraendosi ai vincoli della materialità e della realtà ordinaria per andare incontro ad aperture in grado di percepirne la parte energetica, preludio dello stato di Unità con il Tutto. È chiaro che, da un punto di vista squisitamente psicologico, tutto ciò ha a che fare con l’annullamento della dittatura dell’Io, poiché occorrerà andare oltre i confini personali; ma oggi è ancora difficile comprendere come potranno essere assorbite e padroneggiate queste energie senza subirne l’inflazione, il fascino pervasivo, e senza scadere in nuove ma deleterie forme di illusione, che ci alienerebbero ancora una volta dal nostro centro.
È certo, a mio parere, che i pericoli illusori paventati si corrono proprio se non riconosciamo la nostra alterità rispetto alla dimensione materiale, con cui siamo certamente ed intimamente in contatto; ed è certo che i pericoli si corrono anche se neghiamo il nostro Io.
Il contatto e la corrispondenza in regioni più elevate con gli altri Io e con il tutto non può negare, almeno per ora, la nostra intima differenziazione.
Solo superando le trappole della mente, a cui l’articolo, come vedremo fra poco fa giustamente riferimento, ci potrà ridare la verità su una presunta unitarietà degli esseri spirituali, forse è questo il Dio a cui stiamo cercando di ritornare.
Nel passaggio successivo ciò che dico sembra essere compreso.
Ed è proprio qui che dobbiamo essere attenti: dobbiamo essere svegli, dobbiamo non lasciarci più ingannare dalle proiezioni della nostra mente, che in un certo senso ci ha mantenuti schiavi di un lungo sonno, da cui però stiamo lentamente e gradualmente risvegliandoci. Questa è la dimensione della trascendenza, che esiste, qui e adesso. Non è una dimensione strana e parallela, è la nostra dimensione; è la dimensione religiosa della vita, nel suo vero ed autentico significato di re-ligere, ritornare all’unità. La religione in questo senso può essere considerata la più alta forma di psicologia, intesa come scienza dell’anima, anche se oggi si parla molto di mente, di psiche, di intuizioni, ecc. Attraverso il senso religioso della vita, possiamo trovare la più grande forma di psicologia e di psicoterapia e riagganciarci alla via maestra per tornare all’Uno: all’essere in-diviso o meglio “in-dividuo”, come voleva Jung. Il terzo millennio forse richiede a tutti noi di espandere la coscienza per farci comprendere che la vita non ha alcun senso se non viene messa in relazione a tutto ciò che la circonda, e credo che questo sia anche lo scopo e la filosofia dell’età dell’Acquario. Forse dobbiamo tornare a pensare che Dio non è un un’idea e non è un personaggio in qualche mondo sconosciuto, ma un continente perduto dentro di noi, che dobbiamo ritrovare e riscoprire perché questo millennio avrà bisogno di PARTECIPAZIONE. Dobbiamo trovare i collegamenti e le vie di accesso al trascendente, al transpersonale, perché solo così l’umanità potrà ricollegarsi alle energie dell’universo: in questi ultimi secoli abbiamo perduto i miti, le religioni, e forse anche i sogni, in una parola ci siamo scollegati dall’anima e così facendo abbiamo avvertito divisione, limitatezza e senso di disintegrazione. Ora siamo alla deriva e stiamo cercando nuove dimensioni di esperienza che ci ricolleghino e ci permettano di integrare il nostro spicciolo mondo personale con quello universale, e forse tutto questo potrebbe arrivare proprio dall’abbandono a quel senso spirituale della vita che è il ponte che ci traghetta verso il Centro a cui siamo collegati.
Tutto condivisibile ed auspicabile, a patto di non far confusione fra la nostra natura spirituale, l’unica che può darci filosoficamente e religiosamente la chiave per una comprensione superiore, e teorie “scientiste” e materialiste che cercano in modo confondente di far rientrare lo spirito in un’ottica materiale/vibrazionale, in cui non c’è veramente posto per la nostra anima.
Ecco l’esempio lampante del pericolo che sto dicendo.
William Penfield – neurochirurgo canadese – nel suo libro “Il mistero della mente” spiega perché la coscienza non sta nel cervello. La sua ipotesi viene ora suffragata da altri studi che suggeriscono che la coscienza non abbia un luogo preciso in cui risiedere, ma sia piuttosto una manifestazione dell’intelligenza o della coscienza cosmica che arriva e fluisce dentro di noi attraverso l’esistenza, il cui ponte di unione è sicuramente la spiritualità.
Completamente d’accordo sul fatto che la coscienza, nostra intima prerogativa, non sia nel cervello come “non è” in alcun luogo, proprio perché facente parte della dimensione trascendente, spirituale.
Tutto il resto è ambiguo e confonde, anche se parla di un ponte spirituale.
Molto meglio da qui in poi.
Il terzo millennio, a mio avviso, dovrà portare l’uomo a capire che ciò che sta accadendo fuori è semplicemente il riflesso di ciò che accade all’interno della sua psiche e che preme per essere riconosciuto. Forse la nuova “re-ligione” è già presente e anche se non si è ancora rivelata totalmente, ci sono prime avvisaglie che sembrano portare un nuovo modo di pensare e di intendere la divinità, esattamente come è accaduto in passato nei vari passaggi: pensate all’era dell’Ariete che ha visto pian piano gli Dei solari e i miti eroici soppiantare il culto della Grande Madre e della Triade Lunare; pensate all’Era dei Pesci che ha soppiantato il paganesimo, introducendo la visione di un Dio compassionevole e colmo di amore, di pietà e di sacrificio. L’Era dei Pesci ha sicuramente stimolato l’uomo a risvegliare i propri sentimenti ed ideali più nobili, lo ha sedotto con l’idea di essere fatto ad immagine e somiglianza del Dio; oggi, con l’ingresso nell’Era dell’Acquario, forse l’uomo è chiamato a costruire un modello sistemico-complesso, capace di integrare il senso dell’Io e dell’individualità nel rapporto con gli altri e con il ben più vasto mondo della Natura, delle altre forme viventi e del pianeta, recuperando in questo modo il senso dell’universo ed anche della divinità, nell’unione del Tutto.
Nel finale dell’articolo sono certamente condivisibili i riferimenti alle antiche religioni orientali ed a Platone: tutti nessi che dimostrano come alcune concezioni fossero da sempre presenti nella cultura ben prima della fisica quantistica, che può tutt’al più servire come corollario.
Concludo quindi mettendo in guardia dall’accogliere indiscriminatamente qualsivoglia visione apparentemente “olistica”, soprattutto se proveniente dal limitato mondo scientifico: non perché avversi la scienza, che reputo un magnifico metodo di conoscenza almeno fin quando rimaniamo in realtà “misurabili”, quanto perché molti dei suoi esponenti sono forse pervasi da una presunta “supremazia”, immeritatamente guadagnata nella modernità.
Questa ideologia “scientista”, in realtà materialista, è particolarmente “fastidiosa” quando il soggetto interessato è l’uomo, dato che i loro esponenti pretendono di spiegare e ridurre il pensiero alla biochimica, negando di fatto il libero arbitrio.
Stanno fermando il già “lento cammino della crescita dell’anima”.
9 marzo 2015, aggiornato nel 2022
fonte immagine: Wikipedia