Occorre una veloce e radicale revisione di tutte le prospettive politiche del dissenso al totalitarismo dominante, per costruire una reale prospettiva politica.
Qui il video dell’articolo
Pubblicato anche su Attivismo.info e Sfero
Consiglio assolutamente di vedere questo video, un’intervista al giurista Ugo Mattei, anche fondatore del nuovo CLN, perché paradigmatico di molte questioni che hanno a che fare con il mondo del dissenso, argomento proprio dell’intervista, e che in questi ultimi anni sto analizzando in queste serie di articoli e video, entrambe dal titolo “cosa impedisce una politica alternativa”.
Mattei è probabilmente la personalità più forte e autorevole del dissenso in Italia, talmente forte da risultare “scomodo” al resto del dissenso stesso, come in qualche modo ammette all’inizio dell’intervista dove parla di una sua probabile limitatezza diplomatica e quando se la prende, giustamente a mio parere, con il dilettantismo politico e con “tante persone che si credono tutti capetti […] di qualche cosa”, con la credibilità del dissenso inficiata dalle stesse “visioni ombelicali del mondo” da parte degli stessi.
Purtroppo però, sempre a mio parere, l’attivismo dello stesso Mattei non è esente da problematiche tali da rendere il dissenso una cosa “incompiuta” e ristretta, incapace di intercettare la sostanziosa porzione del popolo italiano, per non dire maggioritaria, in vario modo scontenta dello status quo.
Pur non razionalizzando/conoscendo negli esatti meccanismi la natura del potere moderno ed il procedere degli avvenimenti sociali, politici e sistemici influenzati dal potere stesso, la gente in fondo sa di non avere nessun controllo sul suo futuro.
E sto parlando di un buon 50% della popolazione!
Il fatto che ci sia questo grosso numero di persone che è diventato almeno un po’ consapevole delle storture del sistema sembra essere ben compreso da Mattei, quando parla di “milioni di persone che hanno piano piano capito che la democrazia italiana da molti anni a questa parte non fa gli interessi del popolo sovrano”; talmente compreso da farlo parlare di “compito difficilissimo” che abbiamo davanti, rilevando inoltre come sia necessaria “una fase che deve essere necessariamente e scientificamente post-ideologica”, cosa sulla quale mi trovo da anni in completa sintonia.
Come era prevedibile, Mattei non difetta certo in consapevolezza rispetto ad alcune necessità relative alla situazione socio-politica attuale, ma credo vi siano altre “problematiche” di vario ordine a partire, in questo caso, dalla piattaforma dalla quale parla: agganciandomi proprio alla visione ristretta e non adeguata che lui stesso imputa ai “capetti” del dissenso, perché non facciamo lo stesso discorso anche per i luoghi mediatici al fine di selezionarli?
Perché uno come lui che potrebbe parlare in ben altri consessi ed a platee ugualmente ristrette, ma più varie ed autorevoli, sente la necessità di spendersi su piattaforme marginali e discutibili che se va bene raggiungono persone che hanno già un’idea abbastanza formata?
Perché uno come Mattei che pur riconosce il problema di questi anni in cui il dissenso non ha stretto rapporti e allargato prospettive, non coglie questo problema?
Come fa ad essere credibile quando invita a “fidarsi” di chi riesce a fare un’analisi politica reale, ma poi si rivela inefficace e inefficiente da un punto di vista propositivo, organizzativo e strategico?
Ovviamente non parlo solo della questione scelta dei canali, ma anche relativa al lessico, dato che usare il termine “fidarsi” in politica, soprattutto in Italia, dopo gli avvenimenti di questi ultimi anni, appare quanto meno avventato.
Ma questo non sarebbe niente: una delle prime cose di cui parla Mattei nel video, che ripete più volte, è la questione “sovversione”, parlando di “potere che dobbiamo assolutamente sovvertire”, al quale purtroppo il dissenso non fa alcuna paura, come lui stesso ammette nella sua critica/autocritica.
Ora credo che sulla questione sovversione occorra dire qualcosa, perché rappresenta secondo me la cartina tornasole di molti dei problemi del dissenso della fase attuale.
Penso che il termine “sovversione” in Italia abbia significati, valenze e cariche talmente forti, sia talmente ambiguo e problematico da sconsigliarne del tutto l’uso, senza per questo intendere che non si debba essere duri, coerenti e fermi nella verità delle cose da dire e nella radicalità degli obiettivi politici.
Credo però che la durezza e la radicalità debbano necessariamente essere portate ad un livello di possibile ascolto e comprensione da parte del popolo potenzialmente interessato.
Dato che Mattei lamenta come il dissenso non abbia un piano politico, descrivendo addirittura la fase della piazza come sostanzialmente pre-politica, come può pensare di intercettare tutto il dissenso potenziale usando termini che oggi non possono non apparire quantomeno velleitari?
Nella generale antipolitica del presente, sollecitata dal pensiero unico anti-stato di diritto e fomentata dalla fantastica opera di gatekeeping del Movimento 5 Stelle, dire di voler essere sovversivi vuol dire agli occhi del cittadino precarizzato e intimorito riguardo la fine dei suoi risparmi, voler essere sovversivi alle istituzioni che la tecnocrazia stessa sta svuotando di contenuto e democrazia, quelle istituzioni liberali che dobbiamo preservare e innervare di componenti e contenuti ispirati alla Costituzione e ai diritti umani.
Nonostante faccia anche uno sforzo per sostanziare compiutamente le ragioni della sovversione, addirittura cercando di liberare la parola “rivoluzionario” dalle automatiche connotazioni violente che il termine può evocare, Mattei non può pensare oggi di poter riuscire in tale intento culturale, anche perché il dissenso non ha un punto di trasmissione di tali approcci riconosciuto dai più come tale, cosa che si aggiunge a tutti gli altri problemi della nostra area, che lo rendono inefficace e inconsistente anche per quel 50% potenzialmente raggiungibile.
Vista la profonda antipolitica del presente, credo che, al contrario, uno dei lavori culturali subito necessari sia proprio quello teso a far discernere la differenza fra status quo e istituzioni, possedute dagli “agenti dello status quo”: occorre sconfiggere l’antipolitica che fa percepire le istituzioni stesse come LO status quo.
Come può un giurista come Mattei contribuire a questo lavoro se parla di abbattere “il feticcio della legalità” costituita che sarebbe portatrice dell’interesse pubblico, affermando che “la legalità è da sempre uno strumento di oppressione della classe dominante sul dominato”?
Non vede che in questo modo si presta il fianco alla delegittimazione delle istituzioni, quindi all’antipolitica?
Come può Mattei denunciare la menzogna del potere-spettacolo nelle società moderne e non capire che fine farebbe la sua sovversione demolita dalla potenza affabulatoria del mainstream?
Oltre a questo, quale garanzia avrebbero le nuove istituzioni della vagheggiata nuova fase costituente di non ripercorrere gli stessi errori, se non siamo capaci di proporre fino all’ultimo un processo fattibile di recupero-restaurazione e riforma delle attuali?
L’analisi precisa e impietosa che fa Mattei riguardo l’annullamento delle basi del diritto civile e dei contratti, che lo fanno parlare di “crisi del giuridico gravissima”, trova secondo lui soluzione in una nuova fase costituente, ma come pensa di favorirla se non costruendo in qualche modo una massa critica capace di porre la sua forza nel panorama socio-politico?
Non può certo bastare la consapevolezza riguardo al clima di sospetto generalizzato anche nel mondo del dissenso, buona al limite per regolare dei “conti” al suo interno, certo non a costruire quanto oggi politicamente necessario.
Finché la percezione dei nostri “leader” sarà viziata dalla mancanza di comprensione della reale prospettiva deformante la realtà che è stata “impiantata” nella testa di quel “popolo” cui ci si rivolge, non credo faremo molta strada nel tentativo di liberazione del nostro Paese.
Tale prospettiva può essere pian piano demolita, e sarà difficilissimo visto che abbiamo dormito per decenni, come cercavo di spiegare qui, solo se saremo capaci di costruire un centro politico-organizzativo tale da risultare “inevitabile” nella vita politica del Paese, capace di scatenare un meccanismo di attrazione nei molti scontenti e ancora non del tutto rassegnati al destino digital-distopico che ci attende.
Tale centro politico dovrà necessariamente elaborare una visione del presente e delle prospettive future che dobbiamo ricondurre ad un controllo politico-umanistico trasparente e non viziato da narrazioni antiscientifiche e antigiuridiche, che diventano anticostituzionali.
In questo articolo cerco di fornire delle direttrici percorribili adatte allo scopo.
Sarà questo un compito enorme, ai limiti del possibile, ma fare altro, con prospettive ristrette ad un’avanguardia affidata ad analisi “indiscutibili” non basterà di certo a costruire una forza politica dalle dimensioni e dalle prospettive adeguate alle enormi sfide del presente.
28 dicembre 2022
fonte immagine: PxHere, Pixabay, Progetto Prometeo, Ponte Sardegna Mondo
Ripoliticizzare le masse per avviare velocemente l’opera di una opposizione adeguata al potere che occupa le istituzioni (saranno poi da rifondare in primis tornando ad una legge elettorale maggioritaria pura) vuol dire “lavorare sul campo”: partire dai bisogni reali della gente, anche “non rivoluzionari”, dare loro almeno prospettive di soluzione praticabili in tempi ravvicinati e aprire così la “breccia di Porta Pia” attraverso cui far entrare nella consapevolezza delle menti perdute la VERITÀ in cui sono immerse. E questa operazione ha bisogno di linguaggi COMPRENSIBILI A TUTTI (forse meno “affascinanti” del Resistendum e dell’Uomo Solo in piedi, certo più produttivi).
Certo cara, condivido. Unica perplessità sulla legge elettorale: parte del lavoro credo debba essere quello di sfatare la questione “governabilità”, su cui poggia la retorica antiproporzionalistica, per restituire al parlamento la varietà politica, che deve trovare la sintesi dentro le sue aule. Comprendo benissimo che è anche questo un lavoro difficile