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LA MATERIA NON PUÒ ESSERE UN ASSOLUTO E IL SUO “CULTO” È GABBIA DELLO SPIRITO

massimo franceschini blog

Un articolo sulla morte di Daniel Dennett offre spunti interessanti per la critica al materialismo imperante.

Qui il video dell’articolo

Di Massimo Franceschini

 Pubblicato anche su Attivismo.info, Sfero e Ovidio Network

Un recente articolo di Paolo Ercolani sul Corriere della Sera relativo alla scomparsa del filosofo Daniel Dennett, mi dà l’occasione per svolgere ulteriori riflessioni in prosecuzione ai tre recenti articoli in cui cerco di unire varie tematiche, con lo scopo di portare all’attenzione alcuni punti critici della cultura dominante e di questo particolare periodo storico, che rischia di dare un volto totalitario alla nostra civiltà.

Ritengo che tali questioni siano oggi talmente importanti, da essere superate in urgenza solo da uno sforzo di reale attuazione globale della Dichiarazione universale dei diritti umani, anche se un processo politico di tale portata appare impossibile come mai, viste le questioni da “sistemare” che elencavo brevemente qui e la diffusa antipolitica dei nostri tempi.

La verità è che i drammi del nostro momento storico sono ormai troppi e come conseguenza abbiamo una veloce affermazione-implementazione di teorie e protocolli capaci di annichilire del tutto le libertà del pensiero.

Tornando quindi alla recente produzione: con questo articolo cerco di evidenziare come la tecno-distopia in formazione si basi sulla narrazione totalizzante del materialismo imperante; con questo svolgo una riflessione sulla necessità di una concezione coerente dell’essere dialogante con le altre, in grado di metterci in condizione di difendere la libertà dello spirito e della sua ricerca; in questo terzo articolo cerco di spiegare come solo comprendendo e attuando veramente i diritti umani potremo avere una minima chance di salvarci dal dominio antiumano della tecnica, che si realizzerà in quella che chiamo tecno-distopia.

Andiamo ora alle questioni solleticate dall’articolo su Dennett sin dal titolo e nella presentazione.

«Il filosofo partito da Darwin per sfidare l’ordine cartesiano. 1942-2024 Daniel Dennett, tra i più illustri studiosi della scienza e della coscienza, è scomparso a 82 anni.
La concezione: realtà pensante e realtà materiale viste come parti di un unico processo naturale.
Il rifiuto: negava l’esistenza di un’anima spirituale che definisca una natura metafisica dell’uomo».

Come possiamo vedere l’impianto del filosofo è chiaramente materialista, un’impostazione che critico duramente non solo per le conseguenze tecno-politiche cui questa visione porta, ma anche da un punto di vista teorico: ridurre tutto alla realtà materiale eleva tale dimensione al rango di “assoluto”, per non dire “Dio”, cosa assai difficile da sostenere per una dimensione fatta chiaramente di “quantità” potenzialmente misurabili, quindi finite, per quanto incalcolabilmente grandi.

Come vedremo il materialismo non ammette alcuna trascendenza, tutto “deve” svolgersi nella dimensione materiale.

Fortunatamente, in conclusione l’articolo ci informa dell’esistenza di un’impostazione diversa, chiudendo con una riflessione assai interessante, anche inquietante, con l’autore che sembra voler lasciare l’ultima parola al lettore senza far trasparire la sua idea.

Vedremo come tutto l’impianto materialistico si dipani da punti di osservazione comunque mancanti di una precisa idea sull’origine di questa dimensione, come fosse questione trascurabile.

Per il materialismo esiste solo l’ora ed il “tangibile”, il misurabile, certo anche caotico e indeterminato, come ci insegna la fisica quantistica, ma tutta la speculazione rientra all’interno della dimensione materiale, tutto il resto è delegittimato a questioni non essenziali o “superate”, non degne di considerazione.

Aiutandoci con una semplice metafora, è come se degli alieni cui una vedetta interstellare avesse portato un’automobile terrestre come unico reperto della nostra civiltà ormai scomparsa, pretendessero che l’analisi e la comprensione del funzionamento dell’auto basti a comprendere tutta la storia del nostro pianeta, tutto sulle ragioni dell’esistenza e della forma dell’auto.

Ma non basta, è come se lo studio del manufatto avvenisse nel completo disinteresse sulle sue origini, sulla tecnologia e su tutte le lavorazioni necessarie alla sua costruzione, per non parlare del tempo necessario e del motivo per cui esiste o della questione fondamentale: chi ha costruito una cosa del genere? E di seguito: chi l’ha costruita sapeva fare anche altro?

Ma ora torniamo a noi, partendo dall’inizio dell’articolo.

«Se la filosofia occidentale antica vedeva nel fato (o destino) il centro della propria speculazione, se quella medievale si fondava su Dio come origine, governo e compimento di tutte le cose, il pensiero moderno […] si sviluppa a partire dalla nozione di un «Io» cosciente che struttura e determina ogni individuo e la sua percezione del mondo. In particolare Descates ha messo in dubbio l’esistenza di ogni realtà, per arrivare all’idea certa ed evidente che almeno l’«Io» che sta dubitando non può non esistere. Da questo residuo essenziale del dubbio metodico il pensatore francese ha dedotto la relativa esistenza anche di Dio e degli oggetti del mondo, che sono rispettivamente intuizione e percezione di quel medesimo «Io» originario».

Fermiamoci qui, per un attimo, nella consapevolezza che già queste poche righe rappresentano un portato di pensiero non indifferente e assai vario, dal quale possiamo desumere due considerazioni: il pensiero dell’uomo ha sempre avuto una “preoccupazione” relativa alla coscienza, all’etica e alle motivazioni delle sue azioni, oltre a connotarsi comunque per una concezione in qualche modo dualistica, dove creatore e creazione non possono coincidere.

Al contrario, secondo l’autore dell’articolo Dennett avrebbe

«[…] dedicato tutta la propria esistenza a smontare il celebre fondamento cartesiano [arrivando] a negare sia il concetto stesso di una coscienza individuale che struttura il nostro cervello, sia la netta distinzione tra una sostanza pensante e spirituale e un’altra materiale che connoterebbero il mondo umano».

Ciò che non dice l’articolo, è che la questione “se sia la coscienza individuale a strutturare il nostro cervello” aprirebbe tutta la discussione sull’impostazione darwiniana, ormai superata dalla scienza stessa, anche se non dal racconto mediatico e sistemico sulla “scienza”, per non parlare della drammatica assimilazione moderna fra mente e cervello che cercavo di mettere in discussione in questo articolo in cui riflettevo sull’IA e sulla mente.

Lasciando stare la presunta evoluzione scimmie-antenati dell’uomo-uomo, alcuni fanno notare come tale processo si sarebbe fermato nel momento in cui l’uomo ha iniziato a parlare.

Al di là di tutto, abbiamo sicuramente un’evoluzione culturale, ammesso si possa parlare sempre e comunque di evoluzione, ma non è questo il punto: abbiamo da subito avuto un’attività intellettuale raffinatissima, in grado di farci prendere il dominio del pianeta e il controllo della nostra vita, oltre a connotarci per un pensiero creativo e “immaginifico” senza pari – le virgolette stanno per suggerire come non tutte le antiche “immagini” potrebbero essere immaginarie, ma questo discorso ci porterebbe assai lontano…

Comunque, oltre a questo, abbiamo tutta la problematicità di una semplice questione: come può un essere pensante e cosciente come un filosofo considerare che la sua stessa identità ed i suoi pensieri siano un’illusione, se non per una posizione ideologica “antispiritualista”, cioè materialista? Leggiamo a riguardo.

«[…] Dennett è giunto piuttosto a teorizzare che la coscienza è il risultato di elaborazioni complesse che avvengono nel cervello umano e, quindi, si presenta più come il frutto di un lungo processo evolutivo tra la mente e gli stimoli esterni. In questo senso realtà pensante e realtà materiale, ben lontane dall’essere nettamente distinte come si è pensato da Descartes in poi, si rivelano piuttosto come due manifestazioni distinte di un unico processo naturale. A partire da tale visione, anche l’idea di un «Io» (o Sé) unitario e coerente che struttura l’identità di ciascun individuo, si presenta come un’illusione, una costruzione fittizia con cui l’essere umano evita di prendere atto del fatto di essere il risultato di molteplici processi mentali che interagiscono con la realtà materiale circostante».

Come possiamo vedere secondo questa visione, di fatto vincente sia nel mondo della scienza, sia in quella che potremmo chiamare “spiritualità 2.0”, si riconoscono come reali la natura e le strutture biologiche che ne fanno parte, e tutto ciò basterebbe ad originare il pensiero: si riconoscono cioè dei processi, immagino persino una logica, processi che nella postulata mancanza di un “Io” esterno ai processi, con una sua identità, tendono necessariamente a trovare ragione nel processo stesso.

Per tornare alla metafora automobilistica, sarebbe come se fosse la natura ad aver prodotto l’auto, con un processo del tutto naturale: il fatto che praticamente l’abbia pensata e costruita l’uomo diventa secondario e ininfluente secondo tale ideologia.

L’articolo di seguito ci informa sulle conseguenze di questa impostazione.

«Tale concezione, ovviamente, nega l’esistenza di un’anima spirituale che a mo’ di entità immateriale e separata dal corpo definisca un’appartenenza metafisica dell’uomo stesso e lo ponga in qualche forma di contatto con una presunta entità divina all’origine del tutto».

Il passo appena letto è certamente coerente con l’impostazione materialistica, ma credo si debba mettere l’attenzione su due parole del passaggio stesso: “esistenza” e “presunto”.

Riguardo al primo vorrei semplicemente ricordare che per “esistenza” abbiamo anche un’accezione concettuale del termine, altrimenti come accade per il filosofo e per i materialisti in genere, ci costringiamo alla sola osservazione materiale, oltre a dover considerare la funzione come decisa dalla struttura.

Per quanto riguarda la presunzione, mi appare evidente come anche questa sia ristretta alla sola realtà materiale, senza altra “ragione” oltre l’osservazione dell’esistente, forzando così l’analisi e la spiegazione solo alla materia, costretti a ritrovarvi in essa tutte le ragioni.

Se queste non sono presunzioni ideologiche non so come chiamarle.

Comprendere la ragione e il funzionamento di ogni più piccola vite dell’auto e dell’intero significato della sua esistenza, ammesso e per nulla concesso si sia arrivati a ciò e da questa comprensione presumere che la macchina si sia costruita da sola, a me appare leggermente avventato, appunto ideologico.

Così, come vediamo nei passi seguenti, anche l’aspetto etico è sottomesso alla presunzione materialistica, a quello che potremmo definire “razionalismo”: anche il sacrosanto e libero arbitrio è completamente disgiunto da quella razionalità complessa dovuta appunto all’etica, quella “disciplina” umana e personale che può scaturire dal più alto punto di considerazione possibile, che non è certo quello materiale.

«In termini positivi, invece, la visione di Dennett intende affermare il libero arbitrio incondizionato dell’uomo, proprio in quanto liberato da condizionamenti di ordine metafisico, nonché affermare l’urgenza e la possibilità di studiare finalmente il cervello umano in base a criteri rigorosamente scientifici e oggettivi».

Da un punto di vista logico, non capisco come si possa ammettere che la dimensione trascendente, metafisica, sia capace di “condizionare” anche non esistendo: evidentemente è l’uomo a condizionare le sue scelte in base alle sue concezioni, proprio come il materialista deve sforzarsi a spiegare ogni cosa come originata dalla materia.

Evidentemente per i materialisti il rapporto di causa-effetto è presente solo in ciò che criticano, mentre quanto loro stessi pensano sarebbe “naturalmente inevitabile”, quindi inevitabilmente corretto.

E veniamo alla menzione di un’impostazione diversa raccontata dall’autore, di cui parlavo all’inizio.

«Non è un caso che il principale avversario contemporaneo di Dennett, teorico del fatto che «avere una mente» è possibile perché si possiede una coscienza nonché stati mentali soggettivi, sia stato quel John Searle (1932) che si ispira a Immanuel Kant (1724-1804), filosofo della ragione pura, piuttosto che al Darwin teorico dell’evoluzione biologica».

Nonostante la citazione del kantiano, le ultime parole dell’autore non aiutano certo la speranza in un futuro di libertà civili e di libertà per il pensiero tout court, anche se forse lui le intende in senso completamente diverso.

Sia come sia, le voglio usare come monito, perché di fatto Ercolani ci dice chiaramente che fine faremo e quali “presunzioni” dovremo ringraziare.

«Dovrebbe fare riflettere, piuttosto, che gli odierni teorici dell’Intelligenza artificiale, nonché dell’uomo che deve evolversi in cyborg, si ispirano a loro volta proprio al pensiero di Dennett e al suo lavoro».

(AI free)

 

10 maggio 2024
fonte immagine: Wikimedia Commons, Pixabay

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