Evidentemente la vicenda Berlusconi non ha insegnato nulla.
Pubblicato anche su Attivismo.info, Sfero e Ovidio Network
Chi mi legge sa che da sempre mi spendo per una maggiore comprensione dei diritti umani e per una loro forte implementazione civile, a partire da un ideale programma politico e culturale.
Questo perché ritengo la Dichiarazione Universale formalizzata nel 1948 il punto più alto di arrivo della filosofia politica: nei 30 diritti dell’uomo troviamo un punto di sintesi in grado di comprendere ideali e valori affermatisi nel corso della storia, una vera e propria conquista capace di darci una visione politica di possibile ed onesto sviluppo umano, un progresso non sbilanciato da fattori tesi a sottomettere l’uomo e le sue comunità a forze ed ambiti non conoscibili e non democratici.
Ritengo che i diritti umani, le istituzioni liberali e le migliori Costituzioni, di cui la nostra è uno splendido esempio, possano formare e informare un giusto e razionale stato di diritto caratterizzato da una divisione dei poteri funzionale alla democrazia e alla trasparenza, tale da permettere un’amministrazione realmente tesa a difendere i diritti dei suoi cittadini e della comunità nel suo insieme.
Per far sì che l’attuazione di questi principi sia realmente possibile, i diritti umani e costituzionali dovrebbero necessariamente essere intesi ed attuati come un unico corpus valoriale, certamente interpretabile non in maniera univoca, ma partendo da una visione condivisa da tutta la nazione e da tutta la politica, una comunanza di prospettiva che ne impedirebbe non solo lo stravolgimento dei contenuti, ma anche la prevalenza di alcuni diritti su altri.
È questo il tema della reciproca compenetrazione fra gli articoli, necessaria affinché nessuno di questi faccia di volta in volta da padrone, magari a seconda del clima politico o in favore di convenienze particolari che sormontano altre opposte, appunto non comprese.
Questa lunga premessa, mi serve per far capire, in modo semplice e diretto, come una politica personalistica concentrata sull’immagine e sulla retorica del “successo” personale e aziendale, diventi solo l’altra faccia della medaglia di un collettivismo teso a ridurre la persona in un ente da immolare sull’altare di una presunta responsabilità civile.
Al contrario della pretesa responsabilità, il sistema di potere moderno ottiene una vera e propria sottomissione del cittadino, a partire da quella amministrata mediaticamente.
Il coacervo di interessi oligarchici, finanziari, corporativi e sistemici che determina la politica mondiale, delinea anche le direttrici e le caratteristiche del cosiddetto “pensiero unico dominante”, ma in modo antidemocratico, anche se apparentemente condiviso.
Un pensiero che nella società dell’immagine e del controllo tecnocratico non può farsi altro che totalitario.
Da tutto ciò se ne deduce chiaramente che, oltre ad essere protagonista dell’ingresso in Italia dei format mediatici americanoidi, necessari alla società dell’immagine e del controllo, il “fenomeno Berlusconi” sia di fatto servito a distrarre mentre lo stato di diritto esalava gli ultimi respiri, asfissiato da tutta una serie di deviazioni del discorso ben congegnate e interpretate nei talk della politica-spettacolo.
A tutto questo, dobbiamo certamente aggiungere le ininterrotte ed incostituzionali “emergenze” tele-ammannite, dalle quali siamo governati ormai da decenni e morsi nella carne e nella dignità da almeno tre anni.
Per dirla tutta, ancor più chiaramente: le direttrici della politica come l’Agenda 2030, la “quarta rivoluzione industriale” o il cosiddetto “grande reset” del WEF, sono una pietanza servita in maniera antidemocratica, verticistica e tecnocratica da entità che sfuggono a controlli politici di ogni tipo, perché dirette da entità ancora più “elevate” e meno trasparenti di ordine finanziario, connesse agli stati profondi e ad altri consessi transnazionali capaci di influire sulla cultura e sulla politica mondiale, per acconciare le agende stesse ai loro obiettivi di potere.
Se questa è la situazione, capiamo bene come la dicotomia berlusconismo/antiberlusconismo sia stata per troppi anni la pietanza perfetta per il menù della politica: una ricetta coerente con l’imbarbarimento culturale tele-indotto, un declino diventato anche politico e civile di un popolo ormai distratto dai format dello “spettacolo integrato” ampiamente collaudati negli USA, importati da uno dei due soggetti della dicotomia stessa.
La considerazione che “se non lo avesse fatto lui l’avrebbe fatto un altro”, non sposta di una virgola l’analisi delle drammatiche dinamiche culturali, sociali e politiche cui siamo sottoposti, dinamiche così “inevitabili” nel mondo governato dalla tecnica da farci diventare in qualche modo tutti complici, senza alternativa, dell’imbarbarimento della cultura e del costume.
Tornando a Berlusconi, anche il suo apparente “smarcamento” dalle direttrici di politica estera anglo-americane non è stato sempre continuo e coerente, ma soprattutto, non poteva diventare una vera geopolitica alternativa, per vari motivi: l’Italia è di fatto un paese occupato e Berlusconi, anche per i suoi problemi personali di ordine legale e commerciale, che si sommavano al “vizio” di caricare “personalisticamente” i rapporti esteri, non poteva avere la forza per imprimere una reale svolta all’area del Mediterraneo e in questa parte dell’Occidente, ammesso e non concesso che questo fosse uno dei suoi obiettivi.
La verità è che Berlusconi, di fatto, non ha mai rischiato fino in fondo come avrebbe potuto e dovuto fare un vero statista, costi quel che costi, ma ha lasciato un deserto politico per tutte le questioni delle quali pretendeva farsi carico.
Non poteva fare altro, per mille motivi, in primis per i troppi interessi che deteneva e che oltretutto non avrebbero dovuto farlo entrare in politica, cosa purtroppo permessa in un paese così particolare come il nostro dove una forte tensione politica è di fatto e da sempre ricercata.
Purtroppo, anche nell’ambito dell’area del dissenso non sempre si sentono analisi chiare, troppi mostrano un’indulgenza per il personaggio e per il fenomeno che ha rappresentato, e questo la dice lunga sulla reale possibilità di una vera alternativa politica capace di fare i conti con gli enormi problemi del presente.
Aver stabilito per Berlusconi il lutto nazionale, come solo per Aldo Moro era accaduto fra gli ex-Presidenti del Consiglio, la dice lunga sulla tendenza al declino tipica della nostra epoca.
Ultima nota: il ripristino dello stato di diritto, un processo ormai praticamente impossibile, richiederebbe una complessa narrazione capace di mostrare le finzioni sistemiche, politiche, economiche e culturali che hanno permesso il suo inesorabile disfacimento.
Per mostrare tali finzioni occorrerebbe una nuova classe intellettuale e politica, praticamente un “miracolo democratico” uguale e contrario alla facilità con cui dagli anni ’80 del secolo scorso abbiamo deciso di sniffare la droga della distratta deviazione integrale.
Una richiesta troppo onerosa per un fato capace di correre molto più velocemente dei nostri rimpianti.
(AI free)
14 giugno 2023
fonte immagine:Wikimedia Commons