Invalidazione del pensiero, manipolazione di vita, identità e famiglia con politica e cultura incapaci di fermare il “progressismo” tecnocratico dello “spettacolo integrato”.
Qui il video dell’articolo
Pubblicato anche su Attivismo.info, Sfero e Ovidio Network
Mi rendo perfettamente conto di scrivere da una posizione culturale “perdente”, in sostanza politicamente inesistente, nonostante la sua potenziale grande presa sociale.
Anche se l’evidenza degli effetti devastanti del “progressismo” dei nostri tempi sarebbe evidente, se adeguatamente espressa e portata alla ribalta, sembra ormai impossibile contrastarne l’enorme capacità di penetrazione propagandistica in ordine alla manipolazione totale del pensiero, dell’uomo e della vita, anche per l’incapacità di gran parte degli intellettuali e dei politici appartenenti a quella che si potrebbe definire come area del dissenso, che sembrano ancora interessarsi solo all’analisi economica e geopolitica, trascurando una considerazione di tali questioni culturali e sistemiche.
Difficilmente riescono ad andare oltre ad una critica al consumismo, al capitalismo e alla pretesa suprematistica anglo-americana, ritenendo le questioni culturali e bioetiche divisive “dimenticando”, o non vedendo, il divide et impera implicito nelle direttrici politiche di un “dissenso” oggi “inefficiente” come mai: la sterile critica al consumismo può facilmente essere scambiata per un attacco all’impresa privata e la critica al capitalismo può rimandare ad un’implicita esaltazione socialista; oltre al fatto che l’intellighenzia tecno-scientista di Davos li sta di fatto superando/accontentando con lo slogan “non avrai niente e sarai felice” e con l’appiattimento “egualitario” e “sostenibile” permesso dalla digitalizzazione spinta.
Riguardo alla pretesa del mondo anglo-americano di sentirsi destinato a farsi portatore di civiltà, equilibrio e “ordine mondiale” in quanto “popolo eletto”, non si sa da chi, l’opposizione critica è certamente necessaria a patto di non confondersi con l’automatico appoggio a personalità e regimi comunque assai discutibili, per essere gentili, anche tenendo conto del fatto che, nel bene e nel male, alla fine la maggior parte degli occidentali preferisce l’idea di una parte del mondo apparentemente più libera, anche se spesso tale idea possa apparire “impressionistica”, rispetto a quanto l’Est/Sud del mondo abbia prodotto in termini di corruzione e totalitarismo.
Le divisioni generate dal “sistema” e dall’“antisistema”, contribuiscono così a deviare l’attenzione dagli enormi ed estesi tradimenti a quei diritti umani che dovrebbero essere l’essenza politica dell’Occidente, quegli stessi valori che l’anglo-americanismo tanto decanta in maniera ipocrita e meschina per conquistare mercati e territori.
Tornando quindi alle “tare culturali” del dissenso Occidentale, sembra non si voglia vedere, nonostante si conoscano benissimo le direttrici e le promesse, come la tecnocrazia, lo scientismo, la medicalizzazione dell’esistenza e il transumanesimo implicito nella tecnica più avanzata, siano questioni destinate necessariamente a spingere tutti i poli del tanto agognato “mondo multipolare” alla strutturazione di un controllo tecnocratico dai risvolti distopici: vedi Cina e Giappone che fanno scuola ormai da anni per quanto riguarda la “pressione statale” sul singolo e l’implementazione della “dimensione artificiale” in ogni aspetto della vita umana, anche privata, persino sessuale.
Fatte le necessarie premesse, credo sia ora di compiere un ragionamento complessivo sulla questione relativa a quelle che chiamo psico-“scienze”, all’ideologia gender e alle conseguenze di tutte le tematiche correlate che l’hanno preceduta nel secolo scorso come eugenetica e “malthusianesimo”, che si combinano con le altre agende imposte dalle oligarchie globali potenziandone i devastanti effetti.
Tanto per capire l’importanza data alla questione gender dalla politica dominante, vediamo cosa ha detto Biden nel recente intervento riportato qui e qui sulla “democrazia globale”: “Siamo a un punto di svolta nella storia, dobbiamo portare avanti il nostro lavoro per costruire il progresso nei decenni a venire. Quando promuoviamo la giustizia e l’uguaglianza, investiamo nei giovani, proteggiamo i diritti LGBTQ+, le nostre società non solo diventano più giuste, ma anche più forti”.
Evidentemente, al mondo “progressista” e iperliberista non bastano i 30, “semplici” diritti umani, per i quali ogni persona è inviolabile in sé senza alcuna necessità di premettere una sua qualsiasi “appartenenza” o caratteristica: hanno evidentemente bisogno della nuova agenda che sfrutta la Dichiarazione Universale del 1948 per introdurre ben altre questioni e obiettivi.
Iniziamo quindi ad evidenziare, per quanto possibile, il disegno delle questioni gravitanti intorno al “gender”, alle sue origini, al retroterra culturale, pur senza pretendere di comporre un saggio che necessiterebbe di ben altri spazi, limitandomi per ora a indicare due ambiti principali evidenziati in alcuni documenti che propongo, senza per forza sottoscrivere tutte le impostazioni culturali e il retroterra del loro autore: siamo quindi all’ambito di origine sessuologico-psicologica rintracciabile qui, ed al corrispondente background neo-marxiano di introduzione della psicanalisi nelle equazioni sociologiche, con contemporanea demolizione della famiglia ad opera della Scuola di Francoforte in questa analisi composta di 4 parti.
Credo sia anche utile consigliare la visione di questa importante ed esaustiva intervista a tre esponenti culturali critici nei confronti dell’ideologia gender, la lettura di questo testo fondamentale e di questa intervista del 2013 alla sua autrice, giusto per capire quanto siamo politicamente in ritardo.
Consiglio assolutamente anche la visione del canale Il Mondo Nuovo 2.0, curato da una brava ricercatrice italiana (qui uno dei suoi video più completi sulla questione).
Umilmente, sull’argomento gender mi sono già espresso qui e qui, evidenziandone particolari aspetti utili anche per sottolineare l’influenza di due degli agenti culturali e sistemici permeanti la cultura e il potere dei nostri tempi: da una parte quelle che chiamo psico-“scienze”, capaci di “aberrare” anche il funzionamento della giustizia, dall’altra la più generale cultura “positivista”, “scientista” e “materialista” tipica della modernità.
L’efficacia del combinato di queste influenze è facilmente attaccabile da un punto di vista scientifico, logico e razionale, dato che stiamo parlando di posizioni sostanzialmente materialiste, scientiste e tecniciste.
Più difficile attaccare tutto ciò culturalmente e politicamente, dato che tali influenze si presentano come un pensiero unico “nuovo”, “moderno”, “progressita”, “inclusivista”, “sostenibile”, “efficientista”, anche inevitabile perché comune a tutti i principali media: mettere sotto l’occhio critico tale “sistema” comporta così etichettature, delegittimazioni e retrocessioni al rango di retrogradi, bigotti, antiscientifici, sovranisti, persino fascisti.
Tali influenze sono per forza di cose rintracciabili nei contenuti e nell’azione di ogni schieramento politico sia “liberale”, sia “conservatore”, sia “collettivista”, sia “progressista” ed hanno per questo pesanti ricadute di costume, civili, sociali, giuridiche e politiche, posizionandosi di fatto come necessari background del cosiddetto pensiero unico dominante.
Queste tendenze si saldano all’ideologia neoliberista in un unico quadro di narrazione distorta volta a far apparire il nostro mondo come avviato ad una stagione di ampliamento di tutti i diritti per tutti e di responsabilità socio-ambientale, che sarebbe ostacolata da una diffusa ignoranza “complottista”, antimodernista e antiscientifica.
Con l’ideologia gender abbiamo quindi una narrazione apparentemente votata a liberalismo e diritti umani, entrata nell’agenda mondiale e progressivamente nel diritto anche se le resistenze culturali e politiche, in verità in diminuzione, apparentemente non le lasciano ancora campo totalmente libero.
Purtroppo credo sia solo questione di tempo, dato che il sistema corporativo-oligarchico-tecnocratico che governa le nuove sovranità, di fatto sempre più sganciate dallo stato di diritto e dalla democrazia costituzionale, riesce ormai ad ottenere una sostanziale sottomissione della politica e della cultura “ufficiale” a tutta una serie di imposizioni non democratiche e non trasparenti, che riescono però a nascondersi dietro un’apparente partecipazione e accettazione della maggioranza alla vita e alla cultura globale.
Quest’apparenza di coinvolgimento è permessa dalla potenza affabulatrice dello spettacolo integrato, recentemente potenziato dall’illusione “partecipativa” rappresentata dai social media.
Da quando il sistema tecno-corporativo-oligarchico moderno ha calato i suoi tentacoli sulla vita, pubblica e privata, la manipolazione della cultura è così giunta a livelli che fino a pochi anni fa sembravano di esclusiva pertinenza dei racconti distopici in cui, grazie alle possibilità di ricognizione e penetrazione date dalla tecnologia, tale manipolazione risulta spaventosamente efficace in quanto riesce a rendere “reali” e “plausibili” idee e concetti inquietanti, prima improponibili.
Ciò che è accaduto negli ultimi tre anni in cui una quantità enorme di istituzioni, corpi dello Stato e figure sia apicali, sia meno elevate nelle varie amministrazioni, nelle aziende e nel pubblico impiego si sono abbandonati ad una serie spaventosa di crimini con conseguenze devastanti in termini di morti e menomati, ma anche dirompenti per la deontologia dei vari comparti e per le stesse istituzioni, ormai non più “liberali”, sta a dimostrare quanto la manipolazione sia stata estesa ed efficace.
Spero che quanto sin qui espresso e quanto andrò ora ad esporre, possa essere utile ad inquadrare il problema specifico di questo articolo in un’ottica politicamente e scientificamente adeguata, da perorare anche giuridicamente, nella speranza di aprire brecce di consapevolezza che possano far comprendere l’ampio spettro necessario ad una “politica nuova” capace di essere all’altezza del presente.
Iniziamo quindi a mettere in luce l’enorme contraddizione, normalmente non evidenziata, che riguarda proprio le fondamenta della questione psico-“scienze”, in questo caso relativamente all’argomento gender e alla definizione da cui tutto parte, la cosiddetta disforia di genere: un “disallineamento” del sentire individuale fra l’essere proprietario di un corpo sessuato, con ciò che la persona crede o percepisce ci si debba aspettare culturalmente e socialmente dalla condizione di avere un corpo di quel sesso.
Notare come nella foga “orwelliana” di ridefinire tutto al fine di confondere, si preferisca sostituire la dicitura “sesso” con la più asettica, impersonale e indefinita di “genere”.
Vediamo la precisa definizione dal sito dell’ISS: La disforia di genere è una condizione caratterizzata da una intensa e persistente sofferenza causata dal sentire la propria identità di genere diversa dal proprio sesso.
Come prima osservazione, culturalmente assai importante visto che abbiamo a che fare con questioni riguardanti stati mentali e comportamento, ambiti che non possono avere gli stessi riscontri oggettivi della medicina, notiamo subito che nella definizione non si parli di “patologia” o di “malattia”, ma di “condizione”.
Ciò è certamente corretto, dato che ormai da anni le psico-“scienze” sono state costrette a rivedere i loro “stigmi”, come ben spiegato dalle numerose citazioni di questo articolo, addirittura anche per questioni più fondamentali come la schizofrenia, come documentato qui.
Se è quindi corretto non definire la disforia una patologia, nessuno però interviene quando qualche professionista ritiene di doverla “curare” con psicofarmaci, nella completa ignoranza/distanza che di base abbiamo di fronte ai problemi relativi alla “mente”, condizione questa che ha sempre permesso alle psico-“scienze”, soprattutto alla psichiatria, di godere di una libertà immeritata, troppo spesso criminale.
Riguardo alla questione “psichiatria/psicofarmaci” consiglio assolutamente di vedere questa breve intervista, utile soprattutto a chi non esperto di tali questioni in quanto un po’ tutti gli argomenti critici sono espressi in maniera comprensibile ed efficace.
Già che ci siamo, dallo stesso canale un’altra intervista assai utile a capire l’aberrazione del TSO di cui, come insegnano gli ultimi tre anni, rischiamo di vederne estendere ancor più l’utilizzo.
La questione riguardante il contrasto e la riforma della psichiatria istituzionalizzante, che negli anni della contestazione del secolo scorso era in effetti quasi un suo filone, purtroppo deve essere ancora veramente compresa e affrontata culturalmente, politicamente e giuridicamente, come ben spiegato qui.
Il grande problema, che è di fatto uno delle grandi questioni della modernità, parallela alla “separazione dei saperi”, è l’aver “dovuto” di fatto relegare ad uno stato “inferiore” tutta la cultura che non fosse o non apparisse “scientifica”, lasciando quindi campo libero a quelle psico-“scienze” che si rivelavano perfettamente adatte ad una trasposizione di ogni aspetto relativo all’uomo nel campo materialista, oltre ad essere naturalmente capaci di “giustificare” un controllo autoritario sull’essere, quanto mai stringente perché “tecnicistico”.
La conseguente consuetudine “medicalizzante”, nel caso gender addirittura “trasformante”, per un problema precedentemente insinuato a livello percettivo dalla cultura, dall’intrattenimento e magari anche da genitori ignoranti e fideistici verso la cultura “progressista” e tecnicista, causa una globale forzatura/approssimazione e lascia poco spazio nell’affrontare diversamente tali questioni, che finiscono fatalmente in mano a quelle psico-“scienze” che da sempre vogliono accreditarsi come appartenenti alla vera “medicina” (si veda il tanto criticato e scientificamente risibile DSM qui).
Da un punto di vista culturale e politico relativo all’ambito del pensiero, dei problemi relativi alle emozioni, al comportamento e al naturale aiuto cui ci sentiamo spinti verso il prossimo, dobbiamo purtroppo dire che la modernità sembra aver sempre più abbracciato un’idea di sostanziale “insufficienza” del pensiero stesso ad una sua auto-“revisione” e regolazione.
Nonostante l’enorme lavoro filosofico, religioso, scientifico e culturale, proprio del pensiero, nello sforzo di negare qualsiasi ricerca non dimostrabile in laboratorio la modernità ha privilegiato una visione materialistica dell’ambito “mentale”, accontentandosi dell’osservazione dei flussi energetici nel cervello per trarne conclusioni di ordine “filosofico”.
Sull’onda della tecnica e del conseguente “tecnicismo culturale”, si è lasciato il campo ad un totale scavalcamento del pensiero stesso e delle sue capacità cognitive, con la pretesa di poterlo “regolare” chimicamente.
Tornando quindi alla “disforia” e ragionando da un punto di vista personale e sociale: se uno fosse libero di essere ciò che veramente si sente di essere, come da diritti umani, senza alcun tipo di valutazione psichiatrica, invalidazione e costrizione sociale e indipendentemente da ciò che mostra di essere la stragrande maggioranza degli altri aventi lo stesso sesso, avrebbe ancora la “disforia”?
Magari avrebbe tutto il tempo e la forza per farsi una ragione di un suo particolare sentire ed elaborare la cosa come meglio crede, senza alcun tipo di problema, senza drammatiche e criminali manomissioni della sua crescita in vista di “scelte” dal “politicamente corretto” menù gender – nel primo dei miei articoli linkati sopra una riflessione sulla pratica criminale di “sospensione” della crescita.
Tornando alla disforia di genere, questa correttezza di base nella definizione non evita quindi gli enormi problemi inerenti alla suddivisione ideologica delle persone in “generi”, che si basa sulla pretesa di disconnettere completamente ciò che una persona possa pensare di se stessa e sentirsi da un punto di vista sessuale e relazionale, dal fatto di avere un corpo con un sesso preciso, non “assegnato” alla nascita come invece si pretende di descrivere quella che da sempre è stata una semplice osservazione in un fatto burocratico, che si pretende non debba avere conseguenze.
Da lì si continua con il propagandare l’idea che le differenze sessuali siano imposte dalla società e dalla cultura, che non siano invece anche connaturate e necessarie alla normale prosecuzione della specie, un’idea che nasconde ben altra e reale propaganda: tutto lo sforzo politico di attivisti e scientisti, insieme a quello delle corporazioni della tecnica e dell’intrattenimento, nel far crescere i ragazzi in una cultura tesa a demolire quelli che sarebbero vecchi “stereotipi”, sostituendoli però con i nuovi che, evidentemente, sono la vera causa “virale” della confusione e delle problematiche giovanili in ordine all’identità e alla “liquidità” indotta di stati emotivi e relazioni, tutte questioni che costruiscono e producono il disagio sul quale l’ideologia gender riscuote le sue fortune.
Solo un pensiero unico dominante profondamente falso può non vedere come tutta questa problematica sia propagandata dall’intrattenimento, dalla musica e dalla cultura sia per ragazzi, sia generalista, prima impartito tramite tv poi da quell’apparente “risolutore di problemi” chiamato smartphone.
Ecco che possiamo comprendere tutta l’ipocrisia con la quale si denuncia l’influenza negativa della società perché costringente la libera espressione di “genere”, mentre si nasconde la pesante manovra demolitrice di sicurezze, dati stabili, influenze e relazioni che da sempre accompagnano i ragazzi mentre si sviluppano nel loro processo di crescita e scoperta esperienziale di se stessi, degli altri e della vita.
A tale influenza così capillare e totalizzante, sono appunto sottoposti continuamente i nostri giovani sia dalla scuola, sia dal mondo ludico “offerto” “gentilmente” dalle corporazioni dello spettacolo integrato.
Visto che la scuola appare assai permeabile a queste tematiche, come dimostrato in questo volume, ecco che possiamo iniziare a delineare e comprendere il vero scopo di tutte le questioni: quel transumanesimo-postumanesimo che appaiono come prosecuzioni e punti necessari di arrivo dell’ideologia gender, come ben spiegato in questo testo agile e sintetico.
Ad ogni modo, anche senza l’immediato supporto dei testi consigliati, comunque necessari per approfondire con attenzione, se facciamo uno sforzo cognitivo possiamo riconoscere abbastanza facilmente l’ultima fase di un percorso storico che, partendo da giuste rivendicazione di parità e uguaglianza formale dei sessi, è stato alimentato con quello che possiamo chiamare come un vero e proprio divide et impera psico-politico-sociologico fra uomo e donna, caratterizzato da varie tappe e sviluppi: abbiamo così una sostanziale demonizzazione del maschio perché “costituzionalmente” violento, passante per la sua svirilizzazione; per l’affermazione di una donna padrona di se stessa e indipendente; per la sponsorizzazione più o meno esplicita dell’omosessualismo; per la distruzione/“diluizione” della famiglia naturale; per un rifiuto/posticipazione di una maternità vista come impedimento al godimento della vita; per tutte le pratiche riguardanti la procreazione che diventano di fatto nuovi “contenitori” per un’eugenetica riplasmata eticamente e spacciata come “progresso necessario” che si potrebbe dire, seguendo un altro filone dell’indottrinamento para-scientifico, “sostenibile”.
Riguardo la famiglia credo occorra riflettere su un fatto: se da un punto di vista civile l’invenzione giuridica di altre tipologie di unioni soddisfa l’intenzione di due persone di vivere insieme pur non essendo una coppia “naturale”, acquisendo diritti e accettando i doveri sociali di qualsiasi coppia regolarizzata, trasferire tale auspicabile evoluzione del diritto anche sul piano della genitorialità e della procreazione, perché la nuova ideologia pretende che qualsiasi coppia, addirittura qualsiasi single, siano detentori di un diritto ad avere figli – diritto che non sta neanche nei diritti umani –, apre fatalmente la porta alla manipolazione della vita, alla giuridicamente e umanamente orrenda pratica della “procreazione assistita” per conto terzi e ad un futuro totalmente distopico, già molto presente, in cui non avremo più bisogno di uteri per “produrre” corpi.
Il classico “costrutto sociale” con cui per millenni, bene o male, uomini e donne hanno convissuto nella costruzione della civiltà, va a farsi benedire grazie ad un impianto ideologico e para-scientifico clamoroso, l’ideologia gender, che può apparire così culturalmente e scientificamente degno di nota perché basato su una pesante propaganda “progressista”, capace di nascondere una clamorosa mistificazione e contraddizione di partenza: quella di descrivere come del tutto soggettive le “espletazioni” e le “gradazioni” nell’essere una persona sessuata, che si pretende così “indipendente” dal sesso biologico e depositaria di un “diritto” di poter esplorare tutte le altre pretese “varianti”, che quindi sarebbero libere da influenze culturali “non naturali” al sé, senza vedere, se non addirittura nascondere, tutto lo sforzo compiuto dalle psico-“scienze” e dai vari movimenti per presunti “diritti civili” nel propagandare tale cultura di pieno sovvertimento, che partendo da concezioni totalmente materialiste e deterministe finisce per mimetizzarsi in una concezione “liquida” dell’essere, che pretende di giocare a suo piacimento e senza traumi con la parte biologica.
Una pretesa questa realmente infondata, dato che la popolazione transgender è statisticamente fra le più schiave di psicofarmaci e fra le più soggette a suicidio.
Tutto l’impianto propagandistico “antiumano” è quindi capace di penetrare capillarmente grazia all’influenza totalizzante delle corporazioni e degli stati profondi sul mondo della politica, della cultura, della musica, del cinema e dello spettacolo, con evidenti fini di confusione e controllo “psico-politico”.
Per concludere, riassumere e trovare uno spiraglio di speranza etica e politica: ormai da troppi anni c’è una “rivoluzione colorata” interna all’Occidente, di natura psico-“scientifica”, ideologica, antiscientifica e antietica indirizzata ai giovani, propagandata da scuola, media e politica, tesa a sovvertire l’uomo stesso per fini di controllo con l’ipocrita miraggio di espansione dei diritti civili, che sono solo una parte dei diritti umani, anche se in ottica di lotta alla distopia la parte più importante.
I “professionisti del dissenso”, ancora concentrati su capitalismo, lotta di classe e neoliberismo, oltre a non essere stati capaci di far qualcosa per quei diritti sociali cui sembravano votati, non sembrano attrezzati a far qualcosa di costruttivo contro la tecnocrazia anticostituzionale e “progressista” che appoggia tale “rivoluzione colorata”.
La questione gender, saldandosi con le altre agende globali, forma quindi un monolite apparentemente inscalfibile che richiederebbe un nuovo progetto politico-culturale e una nuova classe politica capace di comprendere i tempi che viviamo.
Probabilmente è ormai troppo tardi per rimettere il corso della storia sui binari di un corretto funzionamento di istituzioni liberali informate dalle costituzioni “umanistiche”, di cui la nostra è fulgido esempio, ma siamo comunque obbligati a tentare.
Il “mondo nuovo” lo percepiamo già nei giovani di oggi, e non è un bel vedere.
2 aprile 2023
fonte immagine: Wikimedia Commons, Flickr, Pexels