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SICUREZZA E DIRITTI UMANI: SE NON NE DIVENTA ESPRESSIONE LA PRIMA UCCIDERÀ I SECONDI

La presunta emergenza stringerà il mondo in un regime sanitario governato da corporazioni private, con la complice assenza della politica “alternativa” che non riesce a comprendere le sue mancanze

di Massimo Franceschini

 

Articolo pubblicato anche su Attivismo.info

 

Parliamo ancora del mondo che verrà dopo il coronavirus e dei possibili antidoti al regime che si sta formando, un sistema di governo giustificato dall’indotta “malattia-paura” e dalla presunta “medicina-sicurezza sanitaria”.

Come affermavo alla fine del precedente articolo, in tutto il primo che scrissi in merito alla pandemia, per non parlare di quest’altra riflessione e degli importanti documenti allegati al suo interno, con il trascorrere del tempo si fanno sempre più evidenti due questioni.

La prima è l’amara constatazione che, alla fine, difficilmente capiremo la reale dimensione del problema e le sue molteplici sfaccettature.

Certamente non per merito delle Istituzioni, pervase da tentativi di censurare il libero pensiero ad opera di parlamentari “progressisti”, tantomeno dai media mainstream impegnati in un’ipocrita, antiscientifica, antifilosofica e illiberale difesa della “corretta informazione”, come nel caso di questo suadente spot Mediaset e di quest’ultima novità RAI di stampo “orwelliano”.

Qui, proprio in relazione al virus ed al “caso” Boris Johnson/Regno Unito, un esempio eclatante del modo in cui i media “di sistema” lavorano la notizia quando intendono pervertire la realtà, negando o forzando per fini particolari la “missione” cui sarebbero destinati.

Dai media principali difficilmente avremo occasione di ascoltare analisi corrette e profonde, se non a ore impossibili, quando va bene, comunque in ritardo rispetto ai ritmi della macchina politico-propagandistica di “regime”: qui e qui solo due esempi della reale dimensione dei problemi, della storia e delle prospettive coinvolte.

Difficilmente sapremo la reale incidenza del coronavirus, come lascia ad intendere questo articolo: quanti saranno veramente i morti che non sarebbero deceduti lo stesso in breve tempo per altri motivi o patologie o con una “normale” influenza o polmonite?

A tal proposito leggete questo report dell’Istat.

Per non parlare della vera incidenza percentuale della mortalità rispetto al contagio, dato che non abbiamo sottoposto a laboratorio tutti i cittadini italiani o campionato adeguatamente e diffusamente il territorio, ammessa e non concessa, come sembra, l’uniforme correttezza delle rilevazioni.

Anche per le questioni vaccini e immunità di gregge il mondo scientifico è tutt’altro che univoco, se consideriamo anche gli scienziati liberi dalle “lusinghe” dell’industria o da veri e propri conflitti di interesse.

Questo, compresa la sua bibliografia, uno dei tanti articoli che pongono seri dubbi in merito.

Sulla questione immunità di gregge consiglio la lettura di questo, per capire quanto sia approssimativo il “dibattito” della politica-spettacolo televisiva.

Quanto appena evidenziato mostra in tutta la sua evidenza la presunta “univocità” della cosiddetta comunità scientifica, uno dei miti della modernità, come ben spiegato qui.

I media scodellano tabelle quotidiane senza senso, fidando sulla presunta autorevolezza e la conseguentemente indotta credulità dell’audience.

Per terminare con la prima questione invito a leggere anche questo documento del Dott. Rainò, che ribalta praticamente ogni “verità” mediatico-“scientifica” propagandistica, confermando molte delle questioni da me espresse nel precedente articolo, linkato all’inizio, anche in relazione alle politiche alternative che si sarebbero potute implementare.

Per completezza di informazione, in merito al punto 7 evocato dal Dott. Rainò relativo al 5G, allego questo documento che dimostra la mole di lavori scientifici che non sono presi in considerazione dalla politica, questo video di una conferenza tenuta alla Camera dei Deputati, questa prima parte di un’importante conferenza scientifica sul tema con l’intervento di un fisico, qui la seconda parte con l’intervento di una dottoressa dell’Istituto Ramazzini, qui la terza parte con l’intervento di una dottoressa specializzata in medicina del lavoro.

E siamo così alla seconda questione.

Non possiamo non constatare, amaramente, lo stato “emotivo” del sistema-paese a qualsiasi livello, dalla popolazione fino ai massimi gradi di responsabilità politica, mediatica e scientifica: solo una piccola parte è capace, o intenzionata a “ragionare con la propria testa” e prendere decisioni per il reale bene collettivo, anche solamente sensate.

L’uniformazione alle linee calate dall’alto, in ogni ambito pubblico e sociale, evidenzia la sempre più crescente difficoltà di circolazione di idee e modi di ragionare almeno in grado di creare un’alternativa, un’informazione completa e un consenso, o dissenso, veramente consapevoli.  

Per quanto riguarda la cosiddetta “massa”, duole constatare quanto l’ansia indotta da media e politica abbia funzionato, non solo a livello comportamentale, ma anche nell’inibire capacità di ragionamento più profondo o la speranza che ogni appello per una diversa e più completa informazione possa aver successo.

Non stiamo ragionando più, ci “distanziamo” fisicamente ed emotivamente e non vediamo che il “sistema” è in grado di usare tutta la nostra espressività e resilienza per i suoi fini retorici: quando scriviamo “andrà tutto bene” alle nostre porte o nei social, testimoniamo sì voglia di non capitolare, senza però vedere che la resa è già firmata nel momento in cui ci abbandoniamo al “ricatto emotivo” delle amate star televisive, abili a confezionare il “prodotto” sotto la paterna guida dell’autorità, “legittimata” da un’emergenza arrangiata a dovere.

Le dinamiche sin qui esposte mostrano, come mai prima, l’urgente necessità di un risveglio collettivo che deve necessariamente e velocemente diventare azione politica.

Questo perché solo l’ambito politico può avere una pur minima chance di invertire la rotta nelle dinamiche sociali, determinata da un sistema corporativo privato che ha svuotato lo Stato di diritto di qualsiasi prerogativa, sostituendolo con un simulacro di “democrazia condivisa” tramite il controllo tecnologico.

Solo la politica può pensare di riuscire dove la cultura ha ormai evidentemente fallito: il libero pensiero non può combattere la nuova teo/tecno-crazia tecnologica, se non trova il modo di organizzarsi politicamente per difendere libertà e diritti senza i quali cesserebbe di esistere.

A questo punto si pone, evidentemente, l’inevitabile domanda: quale politica?

Purtroppo l’ambito cosiddetto “alternativo” è assai diviso e parcellizzato, non riesce ad andare oltre analisi e rivendicazioni che, se va bene, riescono a coagulare qualche migliaia di consensi, senza però riuscire ad essere “appetibile”, oltreché visibile al grande pubblico.

La prima divisione è causata da quelli che si rivelano più o meno legati alle diverse appartenenze ideologiche.

La grave carenza della politica alternativa, a mio parere, è quella di essere ancora incatenata a visioni che, pur avendo spesso grandi capacità analitiche e di critica rispetto alle diverse dinamiche sociali, economiche e di altro tipo, scontano il problema di fondo di essere, per così dire, “antistoriche”.

Piaccia o no, la storia moderna vede un punto di svolta nell’espressione e nella sottoscrizione da parte di una grande maggioranza di Stati della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.

Sui diritti umani si basano le Costituzioni, soprattutto quella italiana che li evoca all’Art. 2, addirittura prima della loro definitiva “consacrazione”, giunta alla fine dello stesso 1948.

L’importanza dei diritti umani si evince, paradossalmente, proprio quando sono tirati in ballo in maniera del tutto ipocrita, retorica e incoerente come, ad esempio, quando con questi si vogliono giustificare azioni militari per “esportare democrazia”: delle vere e proprie guerre di occupazione dell’impero USA in giro per il mondo.

Il fatto che i 30 diritti umani siano attuati in maniera assai blanda e contraddittoria, quando non del tutto traditi o cancellati, non sposta la questione: i diritti sono dell’uomo in quanto tale, quindi di tutti gli uomini.

Per essere tali devono essere recepiti dalle giurisprudenze ed attuati in modo tale che la concretizzazione di uno o più di questi sia bilanciata, cioè non concepita o praticata inficiando la stessa prerogativa di ciascuno.

Lasciando da parte le ali “estreme” della politica, la questione diritti umani trova vari ostracismi da parte delle “categorie” politiche: tranne rare eccezioni di grandi statisti ed intellettuali, il mondo “liberale”, che ne doveva essere primo paladino, li “reclama” solo in funzione di alcune libertà, ma assai sbilanciate verso una minoranza di soggetti; oppure, semplicemente in chiave anti-socialista o anti Russa.

Dimenticare che i 30 diritti dell’uomo contengono anche i cosiddetti diritti sociali, è evidenza diretta dell’ipocrisia del mondo “liberale”.

La stessa dimenticanza, paradossalmente, l’avvertiamo nell’area cosiddetta “progressista” più politicizzata: invece di cogliere l’occasione data dal fatto che i diritti umani fossero posti all’apice del diritto stesso, si è preferito vederli come espressione individualistica del mondo capitalista e “liberale”, decretando così la loro sostanziale inefficacia.

D’altro canto, il “progressismo mainstream”, quello che va a formare il pensiero unico dominante, compie un’operazione ancor più raffinata: “dimentica” i diritti economici e del lavoro per accoglierne altri, solo apparentemente più “individuali”.

Il pensiero unico “progressista” amplifica e distorce alcuni dei diritti universali, come per l’ideologia gender e alcune istanze LGBT, quasi a far intendere un’inesistente carenza nei diritti della persona.

In questo modo è facile per una minoranza condizionare la politica, fino al punto di provare a modificare la stessa identità dell’uomo, il suo ambito relazionale e famigliare: edonismo, individualismo e sostanziale materialismo danno la cornice del futuro e ci preparano al sopraffino controllo tecnocratico, sotto l’ala paternalistica di algoritmi e intelligenze artificiali.

Capirete che, in questo panorama e soggetti a tali tensioni, sia ancora difficile per i diritti dell’uomo diventare il coerente e condiviso “contenuto” di un’azione politica unitaria in grado di inchiodare l’Occidente ad evolversi dalle sue contraddizioni.

Quanto sin qui espresso dovrebbe far capire che la politica ideologizzata ragiona per divisioni di classe, o di altro tipo, divide gli uomini in compartimenti stagni in base a condizioni etnico-socio-economiche.

Evitare la cultura e l’etica dei diritti dell’uomo e continuare a ragionare “ideologicamente” impedisce un’auspicata evoluzione dei rapporti sociali in una realtà in cui non esistano squilibri nella pratica dei diritti e dei doveri per tutti, salvaguardando la dignità, la libertà e le predilezioni di ognuno, con l’unico “confine” della responsabilità sociale verso tutti: un limite che, a ben vedere, si configurerebbe come il fattore veramente unificante e creativo per tutti perché eliminerebbe l’insicurezza sociale, oggi il grande problema per troppi uomini e donne sulla faccia della terra.

Gli squilibri delle azioni di governo non sono mai visibili come ora, con il “problema” pandemia surdimensionato, affrontato in ritardo e male, dietro evidenti spinte di altri interessi, come spiego nel primi articoli linkati in alto.

Una responsabile presa in carico dei diritti universali e della Costituzione da parte dell’Esecutivo, avrebbe certamente consigliato altri approcci, tali da prevenire il collasso di alcune sanità, ingigantito dai media terrorifici.

L’idea che non si possa pensare alla salute pubblica senza bloccare la circolazione vitale del Paese avvicinandola al collasso (come si sta facendo qui), è ben peggiore del male causato da un virus che certo non è in grado, dati alla mano, di avvicinare la mortalità di altri ben peggiori che il Paese ha conosciuto.

Se leggiamo bene i messaggi e le tendenze che percorrono i media, non possiamo far altro che vedere un futuro prossimo di controllo culturale e sociale, organizzato dalle corporazioni tecnologiche e farmaceutiche con la complicità di una politica sempre più lontana dalla società civile.

Qui una delle numerose evidenze di quanto sto affermando, confermata anche in questo, e qui la diversa situazione in altri paesi ed i primi allarmi riportati dalla stampa sul fatto che sembra si stia sfruttando la pandemia per installare velocemente il 5G.

Torneremo ad una “normalità” iperconnessa ed ipercontrollata, rimpiangeremo allora tutta la superficialità, l’ignoranza e l’incapacità di sfruttare l’occasione rivoluzionaria data dai diritti dell’uomo.  

Il tempo a disposizione sta scadendo, al ritmo delle nuove applicazioni tecnologiche: se non riusciremo a coagulare gli sforzi intellettuali e di militanza in un soggetto politico altamente unificante e largamente condivisibile dal corpo elettorale, non avremo altra libertà se non quella di consegnarci senza riserve al gelido abbraccio del controllo globale.

Speriamo che questa proposta possa essere un primo passo, non solo “economicista”, e che non si dissolva fra un appello al socialismo o altroeuropeista.

 

2 aprile 2020

il mio libro, un programma politico ispirato ai diritti umani

fonte immagine: Morbidoutlook

 

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