La creatività in musica è impedita anche dal sistema americanoide sforna “virtuosi”
La visione del bel Whiplash, di un giovane e promettente autore alla sua seconda firma, Damien Chazelle, mi sprona a delle riflessioni musicali che vanno oltre l’applauso per la fattura dell’opera.
Penso che tutte le candidature siano meritate, anche se credo di preferire Byrdman con cui ha, oltre alle candidature, anche delle affinità musicali e batteristiche.
Il film è una sorta di Full Metal Jacket in ambiente musicale, con il giovane batterista smanioso di successo vessato “a fin di bene” e “per amore dell’arte”, dall’esigentissimo e poco amichevole direttore d’orchestra.
Il film mostra in pieno la tensione e la spietata competizione per arrivare al successo, con molti riferimenti ai grandi del passato.
La mia riflessione è relativa a ciò che il film non dice e non fa capire.
Non sto facendo una critica al soggetto o alla sceneggiatura, ciò che “manca” nel film, il non detto, è parimenti assente nella cultura musicale contemporanea.
La musica versa, secondo me, in una tremenda stasi creativa, gli anni sessanta/settanta sono passati da un pezzo, e non si vede all’orizzonte l’alba di una nuova età d’oro.
Il Rock, il Jazz, tutta la musica crossover e di sintesi fra generi e continenti nelle sue numerose declinazioni, non vanno oltre, se non in rari casi, a ripetizioni di linguaggi già tracciati.
Gli autori sono troppo spesso presi dalla produzione e dalle enormi possibilità tecnologiche, senza però aver fatto un salto in avanti, verso nuove frontiere espressive.
Quando va bene riescono a compiere delle discrete riedizioni di contenuti, espressi però meglio negli anni d’oro con più forza, musicalità, spesso meno note e meno tecnologia.
La tecnologia è usata per “confondere le acque”, immettendo nei brani “condimenti” sonori che distraggono dalla minestra, fondamentalmente sempre la stessa, oppure per creare variazione di cocktails musicali che hanno sempre i medesimi ingredienti, spesso neanche tutti.
Manca, solo per fare un esempio, l’enorme varietà espressiva permessa inizialmente dall’elettricità, nell’individuale e necessaria sua modulazione compiuta dai grandi innovatori.
Una tecnologia usata quindi per confondere però appiattendo, mentre i musicisti suonano più o meno tutti allo stesso modo e si allenano a poter “suonare di tutto”, veloce e pulito, trascurando però il raggiungimento di una personale tecnica espressiva.
E torniamo al film che ci mostra un Jazz orchestrale che sì ricorda i grandi del passato, ma inviluppato, al pari della classica, in uno sforzo calligrafico di riproduzione.
Scuole che formano orchestrali, più o meno bravi, concentrati ad ottenere una carriera che però è già tracciata e in cui è assente ogni esigenza artistica di “rischiare”, di mostrare personalità.
Ciò che manca nella cultura musicale, secondo me, è una vera comprensione dei motivi e delle caratteristiche tecnico-espressive e di sintesi che hanno permesso le grandi innovazioni degli anni d’oro.
Questa comprensione è evidentemente assente e non ricercata, nelle scuole sforna diplomi/automi.
22 gennaio 2015
fonte immagine: Wikimedia Commons