Una veloce riflessione e un estratto dalla Treccani sul rapporto fra questi due ambiti del pensiero
Molte sono le definizioni di religione, come tutte le cose si evolvono con lo speculare del pensiero.
Credo sia indubbio che filosofia e religione siano funzioni dell’intelletto che cerca di capire, proteso verso la saggezza.
Nel loro percorso si intrecciano e varie sono le distanze, le differenze o le similarità “percepite” da studiosi e filosofi.
A me piace parlare anche di filosofia religiosa, intendendo con ciò quella particolare filosofia che si interroga sul trascendente e sull’origine dell’esistenza.
I “conseguimenti” della filosofia religiosa possono essere o no considerati dogmi, possono formare culti diversi chiamati religione – e qui entriamo nel campo delle pratiche religiose – ma, in ogni caso, testimoniano il percorso del pensiero nella storia dell’uomo, al pari di quello della filosofia “pura”.
La storia filosofica e religiosa è inevitabilmente intrecciata, non potrebbe essere altrimenti.
Di seguito, fino alla fine, un estratto dall’Enciclopedia Treccani (sottolineature dell’autore).
[…] Con Occam il processo viene condotto oltre e la perfetta cognizione diviene quella che si fonda sull’esperienza, la cognitio intuitiva per la quale non esiste che il particolare.
La filosofia viene così ad acquistare definitivamente un campo suo proprio che non è più quello della religione, ma, come da allora si disse, quello della natura.
Incomincia con l’umanesimo un nuovo periodo.
Ora in realtà la filosofia mentre si distingue dalla religione, non si distingue bene dall’arte.
Dal Petrarca a Leonardo, e forse oltre, si chiama filosofia un’intuizione immediata del reale, fatta, sì, di rielaborazione di pensieri tradizionali, ma più di auto-osservazione e di aforismi sulla natura.
Questo carattere l’ha in parte ancora la filosofia del Rinascimento, ma essa tende piuttosto a costituire una religione naturale o razionale, cioè a tornare al senso originario della filosofia per fare di questa una guida della vita mediante la conoscenza razionale dei tre oggetti: anima, mondo, Dio.
Tale è l’oggetto della filosofia ancora per Cartesio il quale si propone di dimostrare con nuovi argomenti l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima; e la definizione della filosofia che egli dà nella prefazione dei Principii di filosofia non si allontana da quella classica: “studio della saggezza”; “saggezza è non solo prudenza negli affari, ma una perfetta conoscenza di tutte le cose che gli uomini possono sapere… e affinché questa conoscenza sia tale è necessario che sia dedotta dalle prime cause…; è tenere gli occhi chiusi, senza cercare d’aprirli, vivere senza filosofare…; il bene sovrano considerato dalla ragion naturale senza la luce della fede è solo la conoscenza della verità per le sue prime cause, cioè la saggezza di cui la filosofia è lo studio”.
Nulla di nuovo nei termini.
La novità è nella richiesta che questo sapere sia il sapere nostro (dubbio metodico), personale.
Per Bacone invece la filosofia è un grado del sapere che guarda i principî comuni a tutto il reale conoscibile e che sta in rapporto di circolo con le scienze particolari: la filosofia è prodotta per l’utilità delle scienze e le scienze debbono essere ricondotte alla filosofia.
L’atteggiamento critico appare in Locke per il quale la filosofia è non più uno studio di Dio, del mondo, della materia e dello spirito, ma l’analisi delle idee nostre, di ciò che noi intendiamo per Dio, mondo, ecc.
Quest’analisi può farsi perché le idee non sono in alcun modo innate.
Sono formate da noi.
Filosofia diventa quindi un’analisi della formazione delle idee, e come tale si distingue da tutte le scienze particolari.
Così viene indicato con più precisione il compito da Bacone assegnato alla filosofia.
Spinoza concepisce la filosofia come una teologia; ma non gli è estraneo il concetto d’una filosofia liberatrice degli spiriti con echi neoplatonici.
La filosofia di Leibniz è soprattutto metafisica sboccante in una teologia.
Berkeley, sebbene continui l’analisi delle idee pigliando il problema da Locke, è tutto proteso verso una teologia che assorba la filosofia naturale.
Più vicino a Locke resta Hume per il suo sforzo di analizzare il contenuto della coscienza come premessa ad ogni conclusione.
Il suo problema è quello dei limiti del sapere e dei gradi raggiungibili di certezza.
Con Kant la filosofia piglia per oggetto della sua ricerca sé medesima.
Per Kant la filosofia è la metafisica con i suoi tre oggetti: anima, mondo, Dio.
Ma a questa filosofia non si può arrivare se non dopo aver risolto il problema: se è possibile una metafisica.
La soluzione di questo problema è quella che si è chiamata “filosofia critica” e che Kant chiamò “filosofia trascendentale“.
Noi abbiamo così duplicato il problema: da una parte si differenzia la filosofia (metafisica) dalla matematica e dalla fisica, i cui oggetti si dimostra che sono sintesi compiute dalla coscienza in genere.
Dall’altra si prova che le categorie dell’intelletto non sono idonee a farci conoscere l’oggetto della Metafisica (filosofia) e da questo si ricava che quest’oggetto è un oggetto speciale: non l’essere, ma il “dovere essere” di cui non si ha cognizione, ma pensiero.
La metafisica quindi in quanto scienza dell’essere pare negata, e si costruisce implicitamente una metafisica del dover essere; invece di rappresentarci l’assoluto come essere, ci rappresenta la funzione dell’assoluto nella costruzione della scienza, della moralità, dell’arte, della natura.
La prima parte di questo problema diede origine al modo d’intendere la filosofia di Fichte.
Accettando l’inconoscibilità dell’oggetto della metafisica come oggetto, Fichte ne deduce che la filosofia non può aver questo oggetto, ma al contrario deve avere per oggetto quello che è il contenuto della filosofia trascendentale cioè la scienza.
La filosofia diventa quindi la dottrina della scienza.
Infatti la trasformazione delle categorie (sostanza, causa, ecc.) da oggetti di conoscenza in funzioni unificatrici del soggetto, riguardo a un contenuto (il mondo) costituentesi di pari passo con la sua forma (la coscienza), fa sì che il vero assoluto sia l’attività unificatrice della coscienza e non se ne possa cercare altro.
La seconda parte del problema invece attraverso una critica del concetto che il dover essere non può essere tale se non essendo, diviene il concetto della filosofia di Hegel, che ha di nuovo a suo oggetto l’assoluto, ma nel processo attraverso il quale esso si fa tale quale deve essere.
La filosofia torna ad avere per Hegel lo stesso oggetto della relìgione: Dio, cioè la Verità, e la natura e lo spirito umano in quanto non sono guardati in sé (come il finito) ma in rapporto con la loro verità, cioè con Dio (Enc., par. 1).
Ma si differenzia dalla religione per la forma, in quanto l’unico contenuto nella religione è dato in forma d’intuizione, nella filosofia, di speculazione o pensiero riflesso.
Il concetto (e perciò la sua vera forma, il sillogismo) è la forma della filosofia.
Il concetto è l’universale concreto, quindi si differenzia la filosofia dalle scienze matematiche che hanno un universale astratto e dalle empiriche che hanno un concreto non universale: esse hanno di mira e producono leggi, proposizioni generali, teorie: sono pensieri e non il pensiero.
Inoltre né la matematica né le scienze empiriche possono cogliere la libertà, lo spirito, Dio, sebbene questi concetti facciano parte dell’esperienza in senso lato.
Inoltre la filosofia non ammette presupposti, cioè col suo processo deve giustificare il suo punto di partenza.
Le diverse filosofie sono una medesima filosofia in diversi gradi di svolgimento.
Il Rosmini partendo dallo stesso punto di vista (identità dell’oggetto della religione e della filosofia: la verità) rovescia la posizione.
Per lui nella filosofia “la verità si mostra come una regola della mente” (assoluto = principio regolativo), nella religione “si porge compiuta e intera in sé medesima sussistente” (Saggio, 13); quindi la filosofia diventa “una propedeutica alla vera religione” (id.). […]
10 ottobre 2015
per chi interessato, il mio libro
fonte immagine: Wiki