L’ultimo articolo della Dichiarazione Universale è disarmante nella sua semplicità, che ci rivela quanto ci sia ancora da fare.
Questa la versione audio dell’articolo: https://podcasters.spotify.com/pod/show/massimo-franceschini/episodes/33–Articolo-30–Vietato-tradire-i-diritti-umani-e18jctn
Questa la presentazione della serie audio: https://anchor.fm/massimo-franceschini/episodes/1–Prima-puntata–presentazione-dellautore-e-della-serie-e6mvtt
Buona lettura o buon ascolto!
Articolo pubblicato anche su Attivismo.info
Ciao, siamo quindi alla fine del lungo percorso all’interno dei nostri diritti.
Spero che questo cammino sia servito ad accendere riflessioni sul presente e ad immaginare la realtà e la democrazia che potremmo costruire, più vive, giuste e meno sbiadite delle attuali.
Il mondo è ancora sull’orlo della catastrofe, proprio quando avrebbe tutti i mezzi e le conoscenze per diventare un giardino di pace e prosperità per ogni popolo e individuo.
In fondo, solo due cose impediscono la realizzazione dei migliori ideali sviluppati dall’uomo: una vera consapevolezza dei diritti umani e la decisione di attuare politicamente e senza riserve la loro Dichiarazione Universale, dato che solo in essa si afferma in modo perentorio l’universalità e l’insindacabilità dei 30 diritti che ci appartengono in quanto persone.
L’ultimo dei 30 articoli lo ribadisce con forza:
Articolo 30
Nulla nella presente Dichiarazione può essere interpretato nel senso di implicare un diritto di un qualsiasi Stato, gruppo o persona di esercitare un’attività o di compiere un atto mirante alla distruzione di alcuno dei diritti e delle libertà in essa enunciati.
Appare subito evidente un fatto principale: il valore dei diritti umani è così elevato da determinare qualsiasi altro diritto o attività tendente a non tenerne conto, anche se messa in atto da un’entità statale o internazionale.
L’articolo mostra chiaramente che ognuno dei diritti umani è superiore a qualsiasi legge possa essere scritta o imposta, anche di un’intera comunità, di qualsiasi tipo.
Conseguentemente, non possiamo non vedere come ogni persona sia, di fatto, un soggetto di diritto internazionale, al pari di una comunità o di uno Stato.
I diritti umani sono fondamentali, quindi universali, dato che appartengono ad ognuno.
Queste osservazioni ci portano necessariamente ad altre considerazioni.
La prima riguarda proprio ogni comunità e nazione: è la comunità ad esser chiamata ad attuare e difendere i diritti umani, in quanto sono proprio questi a far sì che la comunità stessa sia libera e “creativa” perché formata da uomini liberi e responsabili verso gli altri.
La comunità difende se stessa e la sua libertà difendendo e attuando i diritti dei cittadini che la compongono.
Coerentemente a ciò dobbiamo capire che ogni legge, consuetudine, atto pubblico o privato, manovra nazionale o internazionale che comporti violazioni di uno qualsiasi dei 30 diritti o che giustifichi tali violazioni, è da considerarsi un grave sintomo di ignoranza dei diritti universali da parte della comunità o delle comunità che procedessero in tal senso.
Tenendo conto di ciò, appare immediatamente chiaro che non possiamo avallare la guerra o la sua ipocrita declinazione in misura di “sicurezza”, “ordine” o “polizia” internazionale cui abbiamo assistito soprattutto dall’11 Settembre in poi: le vite che si uccidono ed i Paesi devastati gridano vendetta per l’ipocrisia di un Occidente e di una comunità internazionale che agiscono senza una vera responsabilità, se non quella del “più forte”.
Nel caso in cui da un Paese provengano notizie certe e verificate di gravi violazioni dei diritti umani o azioni di guerra nei confronti di un altro Stato o verso una comunità di Stati, non si dovrebbe affrontare la questione come faremmo per un crimine compiuto da un cittadino all’interno di una comunità: uno Stato è composto da individui, non è un individuo.
Se vogliamo considerare i diritti umani in ambito internazionale non possiamo farlo dimenticando che i 30 diritti appartengono alla persona, non allo Stato: per bloccare l’aggressione si dovrebbe operare, come vedremo meglio fra poco, in modo da non distruggere, per quanto possibile, le vite dei singoli di quella comunità.
Oggi si procede invece con bombardamenti apparentemente “mirati”, che hanno lo scopo di demolire e conquistare, per poi sfruttare e/o far ricostruire da aziende e corporazioni private, i veri soggetti interessati alla conquista che poi volgeranno a loro uso e controllo.
Anche una realtà accertata di violazioni interne dei diritti umani non dovrebbe giustificare l’ingerenza devastatrice della guerra anche perché, come sempre, è la popolazione civile a pagarne il prezzo più alto anche oggi, nonostante le cosiddette armi “intelligenti”.
Andrebbe sbarrata la strada anche a qualsiasi incitazione a “reciprocità discriminatorie” verso le corrispondenti minoranze, che si vorrebbero sottoporre a restrizioni nei Paesi eventualmente interessati: la forza dei diritti umani e del diritto in generale, quando scevro da ipocrisie e da condizionamenti particolari, è quella di creare un ambito per la risoluzione di problemi e per le misure di giustizia uguale per tutti, indipendente da altre considerazioni e condizioni.
Se siamo d’accordo che i diritti dell’uomo debbano illuminare la politica mondiale e se proprio vogliamo contemplare o dare un senso ad un’attività della comunità internazionale volta ad usare anche la forza, per fermare aggressioni o crimini contro l’Umanità, dobbiamo necessariamente considerare varie necessità: la prima è, certamente, quella di riformare completamente l’ONU stessa ed i suoi meccanismi a partire dal Consiglio di Sicurezza.
La storia delle missioni dei vari contingenti delle Nazioni Unite e gli interventi militari compiuti in rispetto a risoluzioni ONU è marcata da profonde contraddizioni: va tutto rivisto considerando che un’azione di presunta “giustizia internazionale” non deve comportare devastazioni e uccisioni di civili, per quanto possibile, o altre ingiustizie spesso più gravi della situazione che ha portato all’intervento.
In secondo luogo, si dovrebbe capire che l’azione non dovrebbe essere per forza o esclusivamente militare, ma volta a scoprire, fermare e sottoporre a processo tutti quei soggetti coinvolti nella situazione di crisi che abbiano favorito l’azione criminale militarmente, logisticamente e finanziariamente, spesso facenti parte di organismi e logge che trovano sedi e terreno fertile proprio nei Paesi che pretendono ergersi a poliziotti mondiali.
Non possiamo dimenticare o far finta che le corporazioni globali, finanziarie, commerciali e tecnologiche non siano le prime interessate al controllo e alla conquista di economie, territori e risorse: fanno ciò pervertendo diritto, politica, economia e sovranità degli Stati, sempre meno sovrani, come abbiamo visto lungo tutta la trattazione della Dichiarazione Universale.
L’azione delle corporazioni private trova così terreno ideale proprio nell’ambito operativo della comunità internazionale, una situazione che va riportata sotto il controllo politico delle società civili di cui gli Stati dovrebbero essere espressione.
Riguardo all’eventuale azione militare potrebbe essere, per quanto possibile, di contenimento ed interruzione delle vie di comunicazione dell’aggressore o fra i contendenti: la situazione che porta all’intervento avrebbe più possibilità di soluzione se non alimentata da azioni esterne devastanti, se sottoposta ad un vera, severa ma non distruttiva politica della comunità internazionale.
Una fermezza giusta è la medicina migliore per affrontare il crimine non solo a livello individuale, ma anche sociale ed internazionale.
“Esportare democrazia” con le bombe è quindi, come possiamo vedere, l’ipocrisia suprema di lobby di potere che antepongono interessi strategici, militari e commerciali alle vite di civili che si trovano così a pagare lo scotto di manovre sulle quali nulla possono.
Avviandoci quindi alla conclusione: la speranza che il futuro dell’umanità non sia segnato dall’ingiustizia, da devastazioni mai viste prima e da un “progresso” che sta assumendo sempre più i contorni delle peggiori distopie immaginate, risiede solo nella consapevolezza e nella buona volontà di persone che intendano realmente porre la questione diritti dell’uomo al centro della politica.
Una questione che, come abbiamo visto lungo tutta questa serie di articoli, contiene anche infide ipocrisie atte a costruire una “retorica dei diritti umani” tesa a favorire politiche, manovre e tendenze socio-culturali di apparente “progresso”ma di reale annichilimento per la persona e l’umanità intera.
Facciamo quindi tesoro dei nostri migliori ideali, liberiamoli da infidi interessi privati e costruiamo una strada politica di reale emancipazione dalle nostre paure e contraddizioni.
Solo la nostra responsabilità individuale e sociale può avverare la dignità e la libertà espressa nei 30 diritti che appartengono ad ognuno di noi.
27 dicembre 2019
Questo il bellissimo video relativo all’Art. 30 dell’associazione no-profit: “Gioventù per i Diritti Umani