Usciamo dalle ideologie, per un futuro a misura d’uomo
Continua la serie di articoli sui diritti umani, argomento che reputo confacente a questa nuova Associazione, cui mi onoro di appartenere, ma anche assolutamente necessario in questo preciso momento politico.
Il presente articolo nasceva a sua volta dalla lettura di questo, tratto dal sito dell’interessante collettivo AlterLab, che vedeva autori due amici genovesi.
Un’analisi in gran parte condivisibile che però, a mio parere, contiene vari spunti su cui riflettere.
Penso sia assolutamente giusto parlare di:
liberalismo contemporaneo, che, va detto, è diverso da quello classico – otto/novecentesco – in quanto più invasivo e pervicace nel cercare di modellare ogni aspetto del vivere, fino alle più estreme conseguenze per gli individui e la comunità.
Del tutto corretto, anche se, e qui l’articolo è un po’ troppo “tiepido”, si dovrebbe iniziare a denunciare il fatto che la pervasività del liberalismo, meglio, del liberismo, è dovuta anche a vari fattori che hanno visto come protagonisti forze e impulsi culturali “positivistici” della modernità, completamente assunti dalle ideologie in teoria contrarie al liberismo: rifiuto dei vecchi valori ed un pieno affidamento alla scienza ed a quella tecnica, il moderno e indiscutibile “dio”, che permette l’intima modellazione dell’uomo, del suo spettro cognitivo, mentale e spirituale.
Inoltre, a mio parere, la denuncia del liberismo totalizzante non può non ricordare come il “socialismo reale” non sia stato meno nell’opera modellatrice degli individui anche se, certamente, in maniera più rozza; i suoi errori/orrori erano in tutto e per tutto speculari a quelli provocati dal neo-liberismo dei giorni nostri, anche se assai più violenti.
I milioni di morti nei vari campi non si possono dimenticare, li metterei sullo stesso piano di quelli dei campi nazisti, ma anche di quelli causati dalle grandi guerre nate in seno all’Occidente e dall’odierna “esportazione di democrazia”, sempre Occidentale.
Oltre a ciò, forse la questione più importante, non dobbiamo dimenticare la rilettura storica, ormai assodata da numerose indagini, relativa al fatto che dietro le grandi guerre e alla dicotomia Occidente/Urss ci fosse l’attività politico-finanziaria delle stesse famiglie che detenevano, e detengono ancora anche se in maniera più mimetizzata, le principali leve finanziarie, monetarie ed economiche del mondo globale.
Pressioni che, prevedibilmente, condizionano la politica estera, gli armamenti e il confronto dell’odierno mondo multipolare.
Tornando all’articolo, trovo comunque interessante la menzione relativa al terrore del Financial Times per il paventato avvento delle civiltà stato in contrapposizione all’odierno globalismo, sull’onda delle ultime dichiarazioni di Putin, probabilmente influenzato da Aleksandr Dugin, riguardo alla fine del liberalismo e all’avvento dei populismi nazionali.
Civiltà stato così descritta:
Una civiltà-Stato è un paese che pretende di rappresentare non solo un territorio storico o una particolare lingua o gruppo etnico, ma una civiltà ben distinta. È un’idea che sta guadagnando terreno in stati differenti fra loro come la Cina, l’India, la Russia, la Turchia e, persino, gli Stati Uniti.
Condivisibile anche la denuncia riguardo al fatto che il sistema ci abbia “venduto, dalla caduta del muro di Berlino, la favola del tramonto delle ideologie […] convincendo le masse di vivere in un sistema democratico post-ideologico, non influenzato da idee totalizzanti ma ‘liquido’ e ‘aperto’”.
Nonostante ciò, non mi sentirei di affermare così nettamente, come fa l’articolo, che le ideologie non siano tramontate, almeno nella testa della gente: a dimostrazione di ciò abbiamo la disillusione per la politica, il grande astensionismo e l’assenza di una vera lotta di classe dovuta al fatto che i grandi mezzi di comunicazione hanno avvicinato i soggetti sociali, sempre meno lontani come forma mentis e con prospettive non così distanti economicamente come un tempo, dato l’avvento della precarietà della “classe borghese” in favore di una ristretta élite finanziaria e corporativa globale.
Oltre a questo, penso che una critica totalizzante del liberalismo, visto quasi sempre come sinonimo di liberismo, possa essere fuorviante se non riconosce, almeno, il fatto che solo all’interno del mondo liberale si sia potuti arrivare a sintetizzare nei 30 diritti umani il lungo percorso dell’emancipazione umana dall’ingiustizia.
Il necessario punto di equilibrio fra i due estremi liberismo/collettivismo credo si possa, e si debba trovare, proprio nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
Documento soggetto, guarda caso, alla “cura” ipocrita e fuorviante da parte delle stesse forze nominate in precedenza, un trattamento oggi demandato al perverso intreccio politica-media globali.
Infatti, i diritti umani mancano di completa attuazione anche in quell’Occidente che avrebbe dovuto esserne paladino: la parziale realizzazione della parte più politica e sociale di questi, in crescita fino a qualche decennio fa, vede oggi un grande regresso.
Grazie all’opera della politica e della cultura più “liberal” si sono accentuate, ma in maniera del tutto impropria, le libertà personali contenute nei 30 diritti umani, “dimenticando” però quei diritti più propriamente politici e sociali che sono alla base dello Stato di diritto e delle costituzioni.
Il fine di questo disegno è sempre lo stesso, di ogni totalitarismo: controllare popoli, territori e risorse.
Oggi i “liberal” giungono a questo, veicolando sin dalla prima infanzia una cultura in cui si abbatte gradualmente l’identità e la dignità della persona, per ottenere individui “liquidi” e precari meglio controllabili, non solo economicamente, commercialmente e politicamente, ma culturalmente e mentalmente, con l’esplosione di un materialismo edonista e sessualizzato e con il miraggio di una tecnica fuori dal controllo della politica, a cui tutto è permesso.
Sempre i “liberal”, questa volta insieme alla politica più conservatrice, si “accontentano” di usare i diritti umani per giustificare le libertà economiche, soprattutto finanziarie, di “chi può”, dimenticando la maggioranza civile e produttiva delle comunità.
Ancora uniti, “liberal” e conservatori si dilettano con una concezione privatistica del diritto internazionale mentre si impegnano nel confronto globale multipolare, alla faccia della pace evocata dai diritti dell’uomo, mai seriamente considerata.
Tornando all’articolo in questione, più esattamente alla sua conclusione, ritengo corretto l’inizio della seguente frase quando afferma che solo partendo da un “ri-orientamento nelle priorità delle società umane, potrà funzionare il progetto di una rinnovata organizzazione economica fondata sulla solidarietà organica di tutti”.
Il problema risiede, secondo me, nella conclusione dell’articolo, dove è spiegato come si intende arrivare alla solidarietà organica fra gli individui, e cioè:
[…] attraverso la proprietà comune delle terre, delle risorse e delle unità produttive, coordinate dagli organi pubblici di rappresentanza in ossequio agli obiettivi sociali democraticamente prestabiliti.
In effetti, l’articolo fa riferimento al socialismo utopico, ma sembra questa una “soluzione” che sa tanto di collettivismo–comunismo, un autoritarismo non liberista, ma che abbiamo già conosciuto: un punto questo che non mi trova concorde, anche perché non porta l’articolo al necessario impulso creativo, dato che sembra incapace di uscire dalle vecchie ideologie.
A tutto ciò, si aggiunge la mancanza di quelle osservazioni che ho prima messo in campo relative ai nascosti ma reali agenti della storia, che ritengo doverose quando si affrontano analisi e prospettive su questi temi: ogni progettazione del futuro sarà inefficace, se rimarrà su un piano ideologico e mancherà di denunciare tutti gli attori dei mali del presente.
17 luglio 2019, aggiornato nel marzo 2021 per l’Associazione Enrico Mattei 1948
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