Articolo di capitale importanza che interessa un istituto fondamentale oggi in crisi, per non dire sotto attacco: la famiglia.
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Buona lettura o buon ascolto!
Ciao, con questo articolo superiamo la prima metà dei 30 diritti umani, con un punto di capitale importanza che interessa un istituto fondamentale oggi in crisi, per non dire sotto attacco: la famiglia. Vediamone subito il testo.
Articolo 16
1. Uomini e donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione. Essi hanno eguali diritti riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all’atto del suo scioglimento.
2. Il matrimonio potrà essere concluso soltanto con il libero e pieno consenso dei futuri coniugi.
3. La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato.
Per quanto riguarda la reale attuazione di questo articolo, iniziamo subito con il criticare duramente le particolari culture in cui si tende a violare il comma 2, di assoluta pertinenza in tema di diritti umani.
Oltre a questa posizione, che direi scontata, possiamo individuare particolari punti critici per quanto riguarda il primo ed il terzo comma. Vediamo in ordine.
Riguardo al primo comma si può subito osservare la dicitura “età adatta” e non maggiore età.
Questo lascia giustamente spazio alle diverse culture, senza che venga forzata la libertà e la dignità della persona, e ad eventuali deroghe per casi particolari in cui un Giudice può ammettere il matrimonio fra minorenni.
Ovvie e giustissime le non limitazioni riguardanti razza, cittadinanza e religione, anche se mi preme ribadire l’ottica che ritengo necessaria in tutti quei casi in cui abbiamo a che fare con problematiche relative alla convivenza fra genti di diverse culture, già espressa commentando gli Art. 13, 14, 15: in base a questi principi si potrebbe osservare che sposarsi con una persona che non rispetti i diritti umani potrebbe creare grossi problemi al coniuge più “liberale” e alla prole, ma anche alla comunità nel suo insieme.
Ad ogni modo, in assenza di denunce sarebbe problematico intervenire, si sfiorerebbe l’autoritarismo di altri regimi e un’invadenza dello Stato nel privato non auspicabile.
L’intervento dovrebbe quindi essere preventivo e culturale, dovrebbe partire dal senso civico di base connotato dall’etica dei diritti umani su cui istruire i richiedenti asilo, ma anche la comunità tutta a partire dalla scuola, una consapevolezza civile di cui pretendere osservanza.
Due ultime osservazioni riguardanti il primo comma in relazione alla possibilità di scioglimento del matrimonio: la prima è che i diritti umani dimostravano di essere più avanti dei tempi, almeno per alcuni Stati, dato che sono stai ufficializzati nel 1948.
La seconda osservazione è un auspicio: l’istituto del divorzio dovrebbe essere riformato in modo da garantire maggiormente i minori coinvolgendoli nel cambiamento, dato che spesso il Giudice tende a non chiamarli in causa, se non superficialmente, a non ascoltare la loro voce perché ritenuti, evidentemente, inaffidabili e/o “incapaci di intendere e volere” solo per il fatto di essere minorenni.
Una prassi che stride con la dignità che i diritti umani attribuiscono ad ogni individuo, indipendentemente da qualsiasi sua particolare condizione: il figlio è comunque coinvolto e “succube” delle decisioni di un tribunale che appare spesso “incurante” del risultato delle sue determinazioni.
A questo proposito, non si può non criticare la prassi generalizzata da parte del Giudice di avvalersi di “perizie” di psichiatri e assistenti sociali, che spesso portano a decisioni “violente”, incomprensibili o “stranamente” giustificate, che niente hanno di “scientifico” o, semplicemente, di “umano”: figli e genitori sono alla mercé di “consulenti” al quale il giudice delega troppo spesso decisioni che sarebbero di sua competenza, se indossasse con più frequenza il ruolo di “Perito dei Periti” che gli spetta.
Sarebbe auspicabile che la giurisprudenza accolga definitivamente le osservazioni, riserve e denunce che giungono dal mondo della cultura e dei comitati che operano per la difesa ed il rispetto dei diritti umani nel campo del mentale e della famiglia.
Occorre definitivamente spezzare quella che un’importante figura del mondo pedagogico italiano, la Dott.ssa Palmieri, ha recentemente definito “filiera diagnostica psichiatrica”, fatta di segnalazioni e valutazioni psichiatriche soggettive su bambini e genitori.
Valutare ed incasellare persone e comportamenti in parametri “psico-diagnostici” di dubbio valore culturale, filosofico e scientifico, è una prassi che dovrebbe essere sempre più messa in discussione dal mondo della cultura, della medicina e dalla giurisprudenza.
A questo punto, prima di continuare con la trattazione, devo render conto di quanto accaduto durante la stesura di questa serie di articoli: continuando a riflettere e ad approfondire con svariate letture alcune questioni, ho modificato la mia visione del presente articolo, quella che state leggendo è quindi una revisione della prima stesura.
Il cambiamento dell’ottica è dovuto essenzialmente a due fattori, fra loro correlati: il primo riguarda la sempre più dilagante “ideologia gender”, che sulle ali del cosiddetto “pensiero unico dominante” di matrice “progressista”, ha sempre maggiori e inquietanti ricadute sulla concezione dell’essere, sui rapporti fra sessi e sulla famiglia, una visione che sta devastando tali ambiti: la questione “gender” inizia sempre più ad entrare nei programmi scolastici, per arrivare ad una trasformazione della visione stessa della persona, considerata sempre più oggetto e soggetto sessuale.
Si deve anche annotare che, paradossalmente, l’evoluzione della nuova visione dell’uomo e di ciò che si ritiene dignitoso e lecito è sponsorizzata come utile alla difesa e al progresso dei diritti umani.
Il secondo fattore che mi ha fatto cambiare approccio a questo articolo, ha a che fare con ciò che pensavo volesse dire il suo testo e con ciò che ritenevo utile al fine di giungere ad un equilibrio interpretativo, proprio alla luce dei problemi che ho appena evidenziato, ma anche considerando il fatto che la legge, per non essere arbitraria, dovrebbe tener conto dei mutamenti socio-culturali della comunità.
Per farla breve: nel tentativo di trovare l’equilibrio ponevo come preminente il dato riguardante l’“amore”, sul quale si dovrebbe basare un’unione così forte e decisiva come quella che dà vita alla famiglia.
Pur ritenendo la questione “amore” basilare e insostituibile, dobbiamo capire che contiene due problemi in ambito di diritto: da una parte è oggettivamente errato e fuorviante definirla per legge, dall’altro è questione che rischia di essere usata per giustificare visioni e prassi che proprio con l’amore hanno ben poco a che vedere.
Andiamo quindi con ordine.
Riguardo la reale attuazione dei diritti umani e considerando anche quanto appena espresso, sono quindi i punti 1 e 3 dell’articolo a rivestire il ruolo di maggiore importanza: di fatto nelle ultime decine di anni l’istituto della famiglia è stato sempre meno difeso e sempre più soggetto a molteplici “attacchi”, di varia natura.
Il primo e più evidente è quello che ha a che fare con le condizioni economiche dei coniugi: l’odierna economia globalizzata, in mano a soggetti privati più potenti degli Stati nazionali, ostacola di fatto la formazione di nuclei familiari e la nascita di figli: il calo del potere d’acquisto degli stipendi e la diminuzione dei diritti nel mondo del lavoro rendono il matrimonio un vero lusso, che sempre meno persone possono permettersi.
Questo fenomeno crea una contrazione delle nascite nei paesi più industrializzati, che inoltre “giustifica” lo sradicamento di mano d’opera a basso costo da paesi del sud del globo: una deportazione drammatica e immorale, da qualsiasi punto di vista.
Oltre alla riduzione delle nascite, abbiamo tutta una serie di problemi derivanti dal complessivo peggioramento delle condizioni economiche, che investe la qualità della vita e dei rapporti fra coniugi costretti a dare sempre meno tempo alla famiglia.
Il sommarsi di queste situazioni sta causando il drammatico aumento dei divorzi ed il contemporaneo calo dei matrimoni.
Lo “stress di sopravvivenza” dell’uomo moderno sta così uccidendo la sua integrità, i suoi rapporti sociali e familiari, la bellezza del vivere e del creare una famiglia.
Ed arriviamo così alla questione accennata in precedenza: lo “stress” che si riversa su individuo e famiglia è amplificato da tutta una cultura apparentemente dedita alla protezione e all’ampliamento dei diritti individuali, mentre in realtà favorisce una visione edonista e consumista della vita e dei rapporti personali, una visione che insinua e determina, da varie angolazioni, un sostanziale inasprimento del rapporto fra i sessi, spesso una guerra vera e propria che di fatto distrugge la famiglia.
Sono questi i frutti di una cultura materialista e irresponsabile, che partiva inizialmente da un “determinismo biologico” per giustificare gli aspetti e gli stereotipi comportamentali uomo/donna (uomo, padrone, cacciatore, infedele/donna, sottomessa, casalinga) per passare ad un capovolgimento/equiparazione di ruoli/difetti, fino ad arrivare all’odierna e pressoché totale pretesa di annullamento delle differenze che sta sfociando, addirittura, in proposte legislative che permetterebbero ad una persona di potersi “autodefinire” sessualmente in base alla sua “auto percezione” relativa al “genere” di appartenenza.
Sul tema della sessualità e del “genere” – un termine “ideologico” che esula dalla realtà biologica dei due sessi maschio/femmina – si sta quindi giocando un’altra “guerra”, che rischia di distruggere del tutto la famiglia.
Molti sono gli approcci culturali alla questione, ognuno ha delle ragioni che però dovrebbero essere secondarie a quelle dei diritti umani, cioè alla salvaguardia della libertà, della dignità e della responsabilità di ogni essere umano rispetto a se stesso, al suo prossimo e alla sua comunità.
Dobbiamo perciò trovare “soluzioni” che spingano le libertà più avanti possibile, nel diritto, ma non così “avanti” da causare un “deterioramento” della dignità personale, della famiglia e della sua componente più debole, i bambini, e dell’intera comunità.
Riguardo all’omosessualità e alla pretesa transgender, non si può non ribadire che ogni visione intollerante da un lato o ultra permissiva dall’altro, creano ingiustizie e violazioni della dignità e dell’integrità psico-biologica della persona (a tal proposito consiglio di leggere questo articolo più approfondito sul tema).
La via mediana da seguire, se teniamo ai diritti umani, sarebbe quella di non impedire la formazione di unioni omosessuali, ricordando però quanto afferma il presente articolo su cosa si debba intendere per “famiglia”: quella nata dal matrimonio fra uomo e donna, in quanto “nucleo naturale e fondamentale della società”.
Un aspetto che dovrebbe essere affrontato con intransigenza, oggi assai debole per non dire nulla in alcuni Paesi, è quello riguardante le pratiche eugenetiche in tema di procreazione e la cosiddetta “maternità surrogata”, che riguarda anche coppie eterosessuali.
Pratiche con cui si sposta l’asticella del “permesso” per ridurre vita e procreazione, di fatto, ad una questione tecnica e materialista soggetta solo al desiderio ed a pratiche commerciali che nulla dovrebbero aver a che fare con questo delicato ambito.
La pretesa di una coppia, “omo” od “etero” che sia, di procurarsi un figlio coinvolgendo la vita di una terza persona, è solo il primo cedimento al miraggio di una tecnica che non sembra trovare alcun freno culturale, etico, politico: solo per fare un esempio, è recente la notizia dello sviluppo di uteri artificiali, un “progresso” che potrebbe facilmente darci un futuro inquietante, facilmente prevedibile.
Per non contribuire alla già dilagante deriva tecnicista di ogni ambito umano, gli omosessuali – ma anche gli etero impossibilitati ad avere figli – dovrebbero “farsi una ragione” della loro condizione e non pretendere di violare limiti naturali ed etici: ridurre la genitorialità ad un’opzione programmabile in provetta da inserire in un corpo estraneo alla famiglia non migliora i diritti dell’uomo, ma abbassa la maternità a condizione artificiale e mercificata.
Il fenomeno della modernità chiamato “perdita dei valori” si è quindi materializzato anche in questo campo, con la pretesa di dare più “diritti” possibili a tutti, arrivando a legittimare prassi bioeticamente “discutibili” solo perché permesse dalla tecnica.
D’altro canto, si continua a rendere difficile, lento e dispendioso l’istituto dell’adozione, un vero e proprio business che continua a sottostare a prassi e giudizi di “esperti”, gli inaffidabili psichiatri ed assistenti sociali di cui sopra.
La preferenza nelle adozioni dovrebbe quindi andare alla famiglia naturale e fondamentale, ricordando che ogni giorno senza una famiglia in cui crescere è un giorno di vita “a metà”.
20 aprile 2018
Questo il bellissimo video relativo all’Art. 16 dell’associazione no-profit: “Gioventù per i Diritti Umani”