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“IL DIRITTO DI UCCIDERE”, OVVERO: COME IMPARAI A NON PREOCCUPARMI E AD AMARE LA “GUERRA” MODERNA

massimo franceschini blog

La lobby politico militare non avrebbe saputo far di meglio per spostare l’attenzione dalla legittimità della “guerra” moderna

di Massimo Franceschini

Pubblicato anche sulla testata web ULTIMA VOCE con cui collaboravo. Questo il link www.ultimavoce.it/diritto-uccidere-arma-guerra-moderna/

Il Diritto di Uccidere di Gavin Hood mi ha visto uscire arrabbiato.
Anche se nel titolo ho citato il beffardo Kubrick del Dottor Stranamore, uno dei film più feroci con la guerra moderna, siamo qui, purtroppo, da tutt’altra parte.

Stilisticamente è un bel film anche se, non so quanto volutamente, uno dei più ipocriti sull’argomento.

Il tema è la guerra moderna condotta da uffici militari occidentali, con quell’arma così inquietante e discussa che sono i droni ed altre bazzecole tecnologiche varie.

Grandi regia e sceneggiatura, nonostante l’azione si svolga prevalentemente in interni riescono a tenere incollato lo spettatore alla suspense della decisione: bombardare o no?

Anche gli attori sono ineccepibili, su tutti Helen Mirren e Alan Rickman recentemente scomparso ed a cui il film è dedicato.

Veniamo al contenuto. Perché ipocrita?

Intanto non è una storia vera, inoltre ci descrive un quadro solo parziale del problema – le pretese “guerre chirurgiche” dell’Occidente contro il terrorismo – facendo leva sul lato emotivo di una “scelta” che però occorre prendere.

Senza raccontar troppo, diciamo che ci sono politici e militari che devono prendere la decisione di lanciare missili su una casa da dove stanno partendo dei kamikaze imbottiti di tritolo ed in cui sono presenti tre dei primi cinque ricercati su una “kill list” americana.

La suspense è dovuta all’ingresso nella scena di un tenero e innocente soggetto, potenziale danno collaterale del missile.

Il film è tutto sui tentativi attuati sul campo dell’azione per far allontanare il soggetto estraneo, e sulla contrattazione fra politici e militari più apparentemente attenti al problema dei danni collaterali, e fra quelli più interessati a togliere di mezzo ricercati e martiri, il cui atto terrorista potrebbe causare molti più morti dell’azione militare stessa.

La “soluzione” alla contrattazione sta nella “ricalibrazione” della percentuale stimata di effetti collaterali, ove il missile fosse fatto precipitare da una diversa angolazione.

La probabilità del 70% di vittime civili sarebbe eccessiva per ottenere l’avallo “giuridico” all’azione, e per renderla politicamente presentabile all’opinione pubblica, con la minor contestazione possibile.

La “soluzione” del 45% è più accettabile nelle carte dell’operazione, anche se non negli occhi dei protagonisti.

La sicurezza nelle informazioni dei militari è permessa nel film, in modo irrealistico, dai nuovi MAV (micro aerial vehicles) che la produzione ci fa sapere ancora in fase di sperimentazione da parte inglese.

Dobbiamo quindi dubitare che nella realtà i militari abbiano la situazione così sotto controllo, perché la tecnologia che nel film li coadiuva non sarebbe ancora operativa.

Anche se le tecnologie fossero a punto la questione non cambierebbe: la realtà ci dice che i militari ed i politici non si preoccupano molto degli “effetti collaterali” quando hanno l’acquolina in bocca per aver individuato o sospettato la presenza di un target.

Il problema, che mi fa parlare di ipocrisia, è però ancor più grande.

Il film non si pone minimamente il dilemma della legittimazione a questo tipo di operazioni anglo-americane, ancor meno si interroga sulle origini del terrorismo e sulle sue fonti di finanziamento e rifornimento di armi.

Non dice niente sull’arma “drone” e sugli altri gadget tecnologici in fase di sperimentazione, inquietanti simboli del regime tecnocratico globale verso cui siamo destinati se non metteremo un civile stop a queste violazioni dei diritti umani.

Il film sposta tutta la questione sul tatticismo dell’operazione, senza minimamente accennare al generale quadro strategico che, secondo me, vede il “terrorismo Occidentale” a guida anglo-americana molto più responsabile, almeno quanto quello dei terroristi “veri”.

Il regista ci “distrae” in maniera sapiente ed efficace restringendo l’obiettivo quasi fosse finanziato dalla lobby politico-militare, interessata a darci solo alcuni termini della “situazione”, senza permetterci di ragionare con la nostra testa.

Il mio è ovviamente un ragionamento da cittadino attento ai diritti umani, non sto certo accusando Gavin Hood di chissà quali connivenze e non discuto certo la sua libertà espressiva di raccontare ciò che vuole e come vuole, anche se non sarebbe la prima volta che la lobby militare finanzia il mondo del cinema per qualche “servizietto”.

La visione dell’opera “mi obbliga” a questa riflessione per andare oltre i limiti del “ring” emotivo in cui ci costringe.

6 settembre 2016
fonte immagine: Wikimedia, Wikimedia Commons

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